Quell’argine alla protesta e la coalizione da costruire.

 

Prove generali
Le urne non mentono mai, ma per conoscere la verità che contengono bisognerebbe almeno aprirle: in Sicilia, come è noto, si scrutina con grande comodità e senza fretta. Gli exit poll qualche scherzetto in anni recenti invece lo hanno fatto. E potrebbero farlo anche stavolta, visto lo scarto ridotto nei risultati ottenuti dai due principali contendenti secondo tutti i sondaggisti. Detto questo, Nello Musumeci – candidato del centrodestra unito – sembrerebbe il nuovo governatore della Sicilia col 39% circa delle preferenze. In questo caso, tutto sarebbe andato non secondo le previsioni e le sensazioni, ma sulla base della storia e dell’esperienza. L’isola infatti è sempre stata una roccaforte moderata e anti-sinistra. E’ la terra dove il berlusconismo, a partire dal 1994, ha celebrato i suoi più grandi fasti elettorali. Nel 2012 il centrodestra aveva affrontato il voto regionale diviso e favorito così la vittoria di Rosario Crocetta. Sembrerebbe un ritorno, per così dire, alla normalità politica. La novità doveva essere l’assalto al cielo dei grillini, visto che il M5S dal 2013 è costantemente il primo partito nelle preferenze dei siciliani e fino a pochi mesi fa era dato come vincente sicuro. Ma sembra andata male a Giancarlo Cancellieri, col suo comunque consistente 36% di preferenze personali. Continua a pag. 16 segue dalla prima pagina Nonostante l’impegno profuso in campagna elettorale dall’intero stato maggiore del partito: su tutti Luigi Di Maio in cerca a sua volta di una legittimazione come potenziale inquilino di palazzo Chigi. L’isolazionismo, a quanto pare, non paga, specie quando gli altri sfruttano al meglio lo strumento delle coalizioni elettorali. L’obiettivo grillino era portare alle urne quanti più siciliani possibile, soprattutto giovani, sperando sulla spinta del voto d’opinione a scapito di quello clientelare o d’appartenenza. Gli ultimi appelli dello stesso Grillo sono stati proprio contro l’astensionismo, che però è leggermente cresciuto rispetto all’ultimo voto regionale. In Sicilia più del 50% degli elettori continua a starsene a casa, ma la cosa ormai nemmeno fa più notizia. Male, ma peggio di quanto si poteva pensare, sembrerebbe andato il candidato del centrosinistra. Abbandonato in corsa da coloro che lo avevano scelto, per paura di doversi intestare la sua sconfitta ormai annunciata, il rettore di Palermo Fabrizio Micari con la sua coalizione avrebbe ottenuto un risultato inferiore al 20%: la soglia critica al di sotto della quale, secondo molti osservatori, rischia di aprirsi nel Pd una dura resa dei conti. Peraltro già annunciata, o comunque ventilata, dalla minoranza interna (da Andrea Orlando a Dario Franceschini). I voti a Micari sarebbero inoltre inferiori a quelli della sua coalizione: un effetto, negativo per il candidato, del voto disgiunto previsto dalla legge elettorale siciliana. E’ arrivato infine all’8% circa il candidato della sinistra anti-renziana Claudio Fava. Sono i voti che l’area della sinistra radicale, o sinistra-sinistra, aveva ottenuto anche nel passato. Se ne potrebbe dedurre che l’apporto venuto dagli scissionisti del Pd (l’asse Bersani-D’Alema) non è stato particolare significativo. Il che significa che se Renzi non ha ottenuto un grande risultato, i suoi avversari non hanno fatto di meglio. La sinistra, ancora una volta, si è fatta male da sola camuffando per proposte politiche alternative le proprie beghe di potere interno e le incompatibilità caratteriali tra i suoi leader. Ma il dato importante, per i riflessi nazionali che potrebbe avere, è come si sa quello relativo alle singole liste e ai rapporti di forza interni alle coalizioni. Anche su questo gli exit poll danno delle indicazioni che se confermate dallo scrutinio finale potrebbero essere in effetti molto interessanti. Colpisce, ad esempio, l’incontestabile forza del M5S, con gli exit poll che gli attribuiscono un percentuale intorno al 34%. Si dovesse confermare il risultato di Forza Italia (intorno al 15%) e del Pd (oscillante sul 10%, ma col serio rischio di finire sotto questa linea psicologica), il partito di Grillo ha dunque tre volte i consensi della seconda forza concorrente. Male sembra essere andato il centro alfaniano, alleato di Renzi; diversamente dal centro dell’Udc, alleato del centrodestra. L’asse tra Lega (non più Nord) e la destra di Fratelli d’Italia sembrerebbe aver superato la soglia del 5% necessaria per entrare a Palazzo dei Normanni: più che soddisfatti sarebbero la Meloni e Salvini, un po’ meno il Cavaliere, che sperava nella vittoria di Musumeci ma in un passo falso dei suoi giovani e riottosi alleati. In sintesi, il centrodestra ha fatto da argine alla protesta grillina ma la coalizione è ancora da costruire visti i dissidi interni. Detto tutto questo, bisognerebbe anche chiedersi quanto su questo voto abbiano pesato i fattori locali. Ad esempio il giudizio pesantemente negativo degli elettori siciliani sui cinque anni da governatore di Crocetta. Più in generale non poco deve aver contato, nel tenere lontano dalle urne più della metà degli aventi diritto, il trasformismo dilagante che ha caratterizzato queste elezioni (nelle liste di Musumeci correvano vecchi sostenitori di Crocetta). A furia di parlare del “laboratorio politologico siciliano” ci si è probabilmente dimenticati dei problemi reali degli abitanti dell’isola (dall’altissima disoccupazione giovanile allo stato disastroso del bilancio regionale), che forse sono stati la spiegazione vera del voto di ieri. Il che significa che il voto politico della primavera del 2018 sarà un’altra storia, ancora tutta da giocare.
Il Messaggero.
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