Quel sodalizio d’arte e vita

Libri Roberto Longhi (il maestro) e Giuliano Briganti (l’allievo): in due volumi il lungo dialogotra due protagonisti del Novecento con Firenze in primo piano. E un indovinello molto complesso

di Luca Scarlini

Giovanni Agosti indica il ritmo di una relazione nella prefazione al volume di scritti di Giuliano Briganti su Roberto Longhi, edito a sua cura da Archinto contemporaneamente al volume Incontri della stessa casa editrice, in cui si trova la corrispondenza tra i due storici dell’arte, a cura di Laura Laureati. Parlando della relazione tra i due, scrive: «una storia d’amore sui generis , ma d’amore si tratta, nell’arco di una vita».

In ogni epoca della sua esistenza lo studioso romano, che ha a lungo insegnato all’Università di Siena, ha avuto Longhi, che lo ha visto nascere, come punto di riferimento, per scelte di metodo e articolazione di lavori. Il dialogo prevede una serie di richieste da parte del più anziano, che conosce bene il padre di lui, Aldo, e ne è amico, dal tempo degli studi universitari, quando quest’ultimo si era laureato a Bologna nel 1914 con una tesi su Il Raffaellismo a Bologna . Peraltro anche la madre, Clelia, si era laureata nella stessa città nel 1915 discutendo di Andrea Marchesi da Formigine, architetto e intagliatore. I due amici avevano deciso di mettere su una impresa di acquisto e vendita di opere d’arte sfruttando i loro talenti di connoisseurs. Nell’epistolario il riserbo del maestro di Alba è come sempre leggendario, egli non si lascia andare mai a confessioni o confidenze. In una lettera del 1941 racconta di come si sia trovato, costretto per i fatti della guerra, in una «tana di Borgo San Jacopo», dove: «nei magri scaffali cerca i libri che ha lasciato in via Fortini, si intende!». Continuo è il traffico per la richiesta di fotografie necessarie a illustrare una tesi, a stabilire una autentica o a verificare un dettaglio. «Dovresti ordinare subito da Alinari un ingrandimento (se resiste anche a grandezza di folio) del rovescio del paliotto di Volvinio». Ogni tanto compare una proposta al giovane studioso di un trasferimento in riva all’Arno: «Rammentati che se un soggiorno fiorentino non ti fosse sgradito, ci sarebbe da lavorare anche qui. Ma toi, tu t’appuies sur Rome, come Paul Cezanne, brigantino che non sei altro!». Longhi non indietreggia nemmeno di fronte al ruolo di padre supplente. Nel maggio 1943 interviene intorno alla ripulsa da parte dello studioso di un progetto di matrimonio che comunque avverrà poco dopo.

«Ho tratto l’impressione ch’egli (suo padre) sia soprattutto preoccupato per l’anticipo col quale tu ti stai imbarcando; forse se gli dessi la soddisfazione di dire che sei, che siete disposti ad attendere per qualche tempo, fino a posizione tua consolidata, credo che tutto si appianerebbe». Nel ’45 il più anziano descrive Firenze come «nello stesso stato comatoso nel quale la lasciammo», avvolta nei numerosissimi problemi della ricostruzione. Intanto fervono i lavori critici che porteranno alla creazione di Paragone . Longhi incalza il pupillo alla redazione per la collana che dirige da Sansoni del noto lavoro su Pietro da Cortona che uscirà però molto più tardi, sempre per i tipi della stessa casa editrice, nel 1963.

Il primo numero di Paragon e reca un «indovinello» visivo assai complesso composto dal più giovane, in cui frammenti di quindici quadri compongono una immagine unica, che viene proposta ai lettori per una decodificazione. Nel frattempo la relazione, nel continuo interscambio dei lavori, si svolge sempre con nomi chiari: il maestro scrive tu e l’allievo risponde con il lei. Nelle lettere compare anche la «signora Lucia», ossia Anna Banti, indicata con il massimo rispetto possibile. L’autrice di Artemisia , legatissima al consorte, gestiva con polso d’acciaio la dimora fiorentina e la resistenza estiva ai Ronchi. Uniti in molte imprese, ella aveva spesso interessi diversi, come registra una lettera da Venezia in cui Longhi indica che la signora si dedica con assai maggior assiduità al festival di musica. Spesso in discussione sono autentiche di opere, come quella di cui si discute nel 1950 per un Giovanni Bellini, il cui proprietario tampina Briganti per avere il prezioso affidavit .

Non mancano le vicende di altri storici dell’arte, una nota maligna longhiana evoca il pericolo che intervenga sul Manierismo uno storico dell’arte sgradito. Il volume curato da Giovanni Agosti, è quindi un esercizio di memoria e affetto dello studioso. Notevolissimo l’articolo retrospettivo su Repubblica nel 1991, in cui egli narra un ritorno dopo che era trascorso un periodo di assenza, allo studio in via Benedetto Fortini, diventato luogo di una fondazione, per un colloquio con giovani storici dell’arte, con un augurio. «Spero vivamente che quella biblioteca e fototeca, che quello studio, con i suoi manoscritti, i suoi appunti ancora da studiare, e con quanto in esso è contenuto di opere d’arte, così longhiane nella loro scelta, così lontane dai correnti parametri dei valori convenzionali, possano, insieme alla conoscenza dei suoi scritti, costituire un punto di riferimento anche per i giovani». Esattamente come la continua frequentazione e lo scambio di idee con il maestro lo era stato per lui, nel corso di tutta l’esistenza.

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