Quanto è antico Fontana

Apre a Verona Palazzo Maffei che ospita la collezione Carlon. Dove Medioevo, Rinascimento e Novecento dialogano
di Chiara Gatti
I”tagli” rossi di Lucio Fontana accanto a un fondo oro del Trecento con Crocifissione e Santi. Separati da seicento anni di storia dicono la stessa cosa: la pittura può bucare la superficie e aprire la via verso una nuova dimensione. Da un lato spaziale, dall’altro lato divina. Così passato e presente dialogano nelle stanze di Palazzo Maffei a Verona, un nuovo indirizzo per il pubblico dei musei che ha appena aperto i portoni in piazza delle Erbe, distillando i tesori di una collezione privata cresciuta sommando nel tempo opere di epoche diverse.
Il cortocircuito fra antico e contemporaneo è annunciato fin dall’ingresso. Sotto i soffitti decorati con affreschi classicheggianti luccica un neon blu di Maurizio Nannucci. Recita: « New horizons for other visions. New visions for other horizons». L’invito è chiaro: liberate la testa da schemi rigidi per abbracciare nuove prospettive. Questo è stato per cinquant’anni il motto di Luigi Carlon imprenditore e intenditore che, partito da una sana passione per le vicende dell’arte locale, veronese e scaligera, ha allargato lo spettro dei suoi interessi all’Italia dell’Otto e Novecento, sensibile all’idea di favorire incontri ravvicinati fra autori segnati dalla stessa vocazione per la forma o interpreti di sentimenti immutati nei secoli. Come la Madonna rinascimentale di Antonio Badile vicina alla Maternità moderna di Arturo Martini nella sua sintesi perfetta fra solennità arcaica e cuore mortale. La pietra non è mai stata così tenera. Ecco allora 350 pezzi che, in 18 sale snodate al piano nobile del palazzo, trascinano il visitatore in un flusso di rimandi ideali. Le battaglie barocche di Antonio Calza, dipinte sotto il fuoco incrociato dei turchi a Vienna, sono abbinate a una ” combustione” di Alberto Burri, una tela nera arsa e lacerata, simbolo di tutti i conflitti. Nella stanza accanto: la Cleopatra sofferente di Giambettino Cignaroli (il disegno preparatorio è all’Ambrosiana di Milano) condivide i patimenti con il ritratto di Dora Maar di Picasso, musa e amante del grande Pablo, tradita e ferita dal suo genio impietoso.
«L’approccio emotivo aiuta a superare i confini fra storia antica e contemporanea» spiega Gabriella Belli, direttrice della Fondazione Musei Civici di Venezia, che ha studiato il percorso col contributo di Valerio Terraroli e Enrico Maria Guzzo. « Il passato può spiegare il futuro e viceversa. Non stupisce che questa raccolta sia nata dalla lungimiranza di un imprenditore abituato a ragionare guardando avanti » . Carlon aveva vent’anni quando acquistò il suo primo dipinto, un’opera fondamentale del de Chirico metafisico, Il saluto dell’amico lontano, dipinto a Ferrara quando il Pictor Optimus era ricoverato all’ospedale militare per nevrosi. Saltando dalle sculture lignee di tradizione veneta ai capolavori del Novecento (un Sironi appartenuto alla Sarfatti e passato anche dai depositi del Guggenheim), la collezione viaggia nel tempo punteggiata di esemplari da manuale. Il Ratto di Elena di Zenone Veronese fu acquistato nel 1912 dal Metropolitan di New York e studiato da Federico Zeri; fa sorridere l’episodio mitologico ambientato sulle sponde del Garda. Un’isola di felicità accoglie i ritratti femminili di Giovanni Boldini, dive e divine della Belle Époque, fra cui un’erede dei Florio, i leoni di Sicilia. L’impennata futurista rappresenta il nocciolo forse più ricco del fondo con l’unica veduta del Canal Grande ( ancora divisionista) di Boccioni, la prima (in assoluto) “compenetrazione iridescente” di Balla, un de Pisis astratto rarissimo e una versione del celeberrimo Pugno di Boccioni dello stesso Futur-Balla.
Il gioco delle coppie spazia dalle nature morte di Fede Galizia a quelle immote di Morandi, mentre il viaggio si chiude in modo spaziale con le Nature di Fontana, gli Achrome algidi di Manzoni e uno specchio di Pistoletto che riporta il discorso all’inizio e alla grande ossessione dell’arte di sempre: come diceva Gertrude Stein « i quadri volevano uscire dalle loro cornici » . Per la cronaca: dietro la splendida facciata in tufo del palazzo fresco di restauro, acquistato all’asta dalla Fondazione che oggi gestisce la casa- museo, merita un giro la scala elicoidale che s’arrampica per tre piani fino alla lanterna. Autoportante, è un miracolo (barocco) di arte e architettura.
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