La giornata era andata avanti tra mediazioni piuttosto complicate e per certi versi contraddittorie. Al ministero della Giustizia stanno studiando tutti i modi possibili per recepire l’accordo (raggiunto da Pd, M5S e LeU) sul lodo Conte bis per modificare la norma Bonafede sulla prescrizione. A metà giornata diventa ufficiale che non finirà in un emendamento al Milleproroghe. I renziani esultano. Al Cdm di domani dovrebbe arrivare un disegno di legge. Giuseppe Conte, sempre più indispettito da Renzi, che considera un sabotatore della sua esperienza, continua però a mediare. Non tanto per la paura dei numeri al Senato (tra assenze, defezioni e “soccorso” dei Responsabili in realtà la maggioranza dovrebbe averli), ma per cercare di portare avanti l’esperienza riformatrice di quest’esecutivo. Da Palazzo Chigi ci tengono a far sapere che la decisione di non presentare l’emendamento al Milleproroghe è dovuta a motivi tecnici. Ma l’umore non è dei migliori. Perché, mentre l’ex premier minaccia mozioni di sfiducia, Conte (che ieri ha incontrato il presidente della Camera, Roberto Fico, per due ore) passa da un tavolo all’altro. Insomma, fare politica “vuol dire mediare, non imporre”, è la considerazione che va per la maggiore.
Fatto sta che il governo è andato incontro alle richieste di Iv di non fare un decreto. Una soluzione peraltro graditissima al Guardasigilli, visto che lascia la sua riforma in vigore per mesi. L’effetto paradosso viene fatto notare dal Pd compatto. “Una vittoria di Pirro”, la definisce il responsabile organizzazione dem, Stefano Vaccari. Su tutti, Alfredo Bazoli, capogruppo in Commissione Giustizia: “Italia viva canta vittoria perché la modifica della legge Bonafede su prescrizione non andrà nel Milleproroghe né in un decreto legge. Cioè esulta perché la Bonafede non verrà modificata, rimarrà così com’è per chissà quanto ancora. Non c’è che dire, dei geniacci della politica”.
Sempre nel pomeriggio, arriva la notizia che la Lega ha firmato il lodo Annibali (sul quale c’è il no del governo). I sospetti su un patto tra Renzi e Salvini per far cadere il governo vanno avanti da mesi. Anche se tra i vicinissimi dell’ex premier resta la perplessità: con quale vantaggio per un partito che al momento vale meno del 4% nei sondaggi? Ci sarebbe la variabile del governo Draghi, lanciata da Giancarlo Giorgetti. Ma appare molto complicata, vista anche la contrarietà di Sergio Mattarella a far nascere un altro esecutivo senza passare per le elezioni. “Caos organizzato”, si limita a commentare Giorgetti. Il punto è che agli stessi renziani non è chiaro dove voglia arrivare il loro capo. La paura che per l’ennesima volta la voglia di rivalsa e il tentativo di uscire dall’angolo gli prendano la mano, arrivando pure a far cadere l’esecutivo, è tanta. E i contatti dei renziani in queste ore sono a 360 gradi, dal centrodestra agli ex compagni di partito. Senza risultati chiari.
Non a caso, ci sono al lavoro i pontieri di Base Riformista nel Pd. Secondo le voci che si rincorrono, l’asse con Salvini sarebbe più che altro una minaccia. Ma quello che Renzi vorrebbe davvero è magari entrare al governo con un rimpasto oppure avere più cittadinanza in quello che c’è. “Se lo può scordare. Se si fa un rimpasto, lui di ministri ne prende 1, invece di 2”, spiegano al Nazareno. L’idiosincrasia per l’ex premier è ormai massima. “È impazzito, non fa altro che agitarsi per attirare l’attenzione. Noi sosteniamo il governo, aiutiamo i Cinque Stelle. Poi, certo, si vedrà”. I falchi ci sono anche in casa dem: stando ai sondaggi, il Pd è l’unico partito che avrebbe qualche vantaggio nel votare ora. E l’idea di togliere di mezzo il senatore di Scandicci fa aumentare la tentazione.
Intanto, il voto sull’emendamento Annibali, previsto in serata, slitta: Pd e M5S non sono sicuri di avere i numeri. Oggi si ricomincia. Finale incerto.