Prende piede un leaderismo che salta il Parlamento perché lo vede come un intralcio

Il governo e la manovra, verso il fallimento del rigetto delle élite

Prende piede un leaderismo che salta il Parlamento perché lo vede come un intralcio. Finora il binomio Lega-5S ha goduto di ampio consenso. Ma il vento può cambiare in fretta se si deludono le aspettative
Giunti a Natale con la legge di Bilancio che deve ancora passare a Montecitorio, è chiaro che l’esercizio provvisorio resta nel novero delle cose possibili. Per evitarlo l’unica via consiste nel ripetere alla Camera lo stesso copione che ha umiliato i senatori: ossia si deve imporre un maxi emendamento su cui chiedere la fiducia. Dibattito inesistente proprio come a Palazzo Madama e necessità di chiudere tutto al più presto. Altrimenti il rischio è che una sia pur minima modifica introdotta dai deputati obblighi a tornare al Senato. A quel punto la prospettiva di scavalcare la data limite del 31 dicembre prenderebbe forma, segnando una seria sconfitta della maggioranza. Si dirà che l’esercizio provvisorio non è poi un dramma, specie se limitato a pochi giorni. Ma il problema non è di natura tecnico-finanziaria, bensì tutta politica. Sarebbe, è ovvio, il simbolo del fallimento per un governo che già oggi dà l’impressione di aver perso il bandolo della matassa, essendosi ridotto a far approvare la legge più importante dell’anno – se ci riesce – solo attraverso una grottesca forzatura del rapporto tra governo e Parlamento.

Non è la prima volta che accade, basti pensare al voto di fiducia imposto a suo tempo su una legge elettorale che poi la Consulta dichiarò illegittima. La noncuranza verso il Parlamento non nasce certo oggi e le responsabilità sono molteplici. Tuttavia, in queste ore è stato toccato un picco negativo che indica come le procedure istituzionali siano ormai svuotate di significato, senza nemmeno che ci si preoccupi di salvare le apparenze.

In fondo prende piede, nel modo confuso e rabberciato tipico del momento, non tanto l’idea di “democrazia diretta” che è nella retorica dei Cinque Stelle, quanto un leaderismo che salta il Parlamento perché lo vede come un intralcio. Un leaderismo fatto di uso abnorme dei social, sostitutivi di ogni altra forma di comunicazione. Salvini è il campione di questa tendenza, ma Di Maio lo segue a ruota nella speranza di mascherare la propria debolezza. In realtà, lo psicodramma della legge di Bilancio segna una svolta. Se ha ragione Paolo Savona, il primo semestre dell’anno sarà a rischio concreto di recessione. Non è tutta colpa del governo gialloverde, ma cambia poco.

Finora il binomio Lega-5S ha goduto, come è noto, del favore di un ampio consenso. Peraltro il vento può cambiare in fretta se le persone sono deluse nelle loro aspettative. Vedere Salvini perennemente addobbato da poliziotto e sapere cosa mangia per cena può essere divertente per molti fin quando all’improvviso non diventa insopportabile. E lo diventa il giorno in cui le persone ritengono di ricevere troppo poco in cambio della fiducia concessa a chi governa. Finora Salvini e Di Maio sono stati garantiti dall’inesistenza dell’opposizione, ma qualcosa potrebbe cambiare e magari anche velocemente.

Detto in un altro modo: la fortuna dei dioscuri è cominciata con il collasso delle vecchie élite politiche. Loro, parlando a nome del popolo, hanno preso il potere. Ma l’incapacità di creare un nuovo “establishment”, con le sue regole, le relazioni e le competenze, rischia di essere pagata a caro prezzo. La spaccatura tra élite e popolo non può durare all’infinito: dopo la rottura deve esserci una nuova sintesi. Altrimenti accade quello che stiamo vedendo in Parlamento in questi giorni, ossia la dimostrazione pratica che manca una classe dirigente. Nessuno si deve stupire allora se segmenti di una classe dirigente esclusa dal governo allargato del Paese cercano la strada per riorganizzarsi e tornare a pesare.