Pontormo, la lunetta della vita

Visti da vicino Con Carlo Falciani alla scoperta della perla di Poggio a Caiano (in attesa di ammirarla dal vivo)«Nell’opera della Villa Medicea un messaggio di amore, nascita e natura, cose che oggi desideriamo con forza»

 

L’ha scelta perché è un inno alla vita e perché «in questi giorni di primavera ci troviamo dentro a un cortocircuito: abbiamo voglia di uscire ma non ci è consentito, e questo desiderio mi sembra perfettamente espresso dalla celebrazione della bellezza della natura che troviamo nell’opera di cui vi dirò».

Chi parla è Carlo Falciani, docente di Storia dell’Arte Contemporanea e Moderna all’istituto di Belle Arti a Firenze, curatore, con l’ex direttore degli Uffizi Antonio Natali, di tre tra le più belle mostre organizzate da Palazzo Strozzi negli ultimi anni: Bronzino, pittore e poeta alla corte dei Medici (2010-2011), Pontormo e Rosso, divergenti vie della manier a (2014), Il Cinquecento a Firenze, Tra Michelangelo, Pontormo e Giambologna (2017-2018). Partecipa anche lui all’iniziativa del Corriere Fiorentino che ha voluto dedicare parte del tempo lento della nostra permanenza in casa per l’emergenza Covid-19 ad approfondire la conoscenza di un’opera d’arte pregevole e poco nota. Lui ha voluto condividere con noi un gigante del ‘500, il Pontormo, portandoci fuori porta, nella villa medicea di Poggio a Caiano, per aiutarci a leggere la Lunetta del grande salone in cui l’artista ha rappresentato (1519-1521) il mito di Vertumno e Pomona raccontato da Ovidio. Un’avvertenza — prima di scoprire i segreti di quest’opera giovanile di chi rivoluzionò la pittura facendo transitare il Rinascimento verso «una nuova maniera» — quello che ci ha raccontato Falciani è frutto di anni di studi pubblicati nel 1992 sulla rivista Artista della casa editrice Le Lettere, diretta allora da Carlo Del Bravo, Anna Maria Petrioli Tofani e Carlo Sisi. Quello studio ha prodotto una lettura dell’affresco diversa da quella convenzionale che trovate su siti di divulgazione.

Falciani, dopo un accurato lavoro sull’opera e sulle Metamorfosi di Ovidio anche nella traduzione del 1497 di Giovanni dei Bonsignori, individua, nei sei personaggi principali dell’affresco figure del mito non riconosciute da altri prima. E ora torniamo a Poggio a Caiano: «La villa — spiega — fu commissionata da Lorenzo il Magnifico desideroso di creare un luogo di meditazione e di ideale ritiro in campagna dove lasciar fuori gli affanni del governo e della politica così pressanti nel palazzo di via Larga a Firenze. La pensò come un’acropoli dove far sorgere un tempio dedicato alla natura e ai ritmi che ne regolano l’incedere ciclico». Alla sua morte avvenuta nel 1492, però, era ancora quel cantiere che, due anni dopo quando i Medici furono cacciati da Firenze, si interruppe bruscamente. I lavori sarebbero ripresi dopo il ritorno dei signori in città, nel 1512, anche se il grosso dei nuovi interventi è più tardo e parte dal 1516. Il salone del piano nobile, non a caso conosciuto come Sala di Leone X , fu voluto dal papa Medici il quale chiese al nipote Ottaviano di far realizzare qui degli affreschi che rispettassero il desiderio di evasione di Lorenzo il Magnifico ma non solo. Lì dentro il Papa voleva fosse evidente la celebrazione politica del casato mediceo. Al programma iconografico lavorò Paolo Giovio. E qui torniamo alla nostra lunetta.

«Secondo il mito — ci ricorda Falciani — Vertumno era la personificazione della trasformazione, il dio che regolava il mutamento delle stagioni e il maturare dei frutti. Nelle Metamorfosi Ovidio racconta che si innamorò di Pomona, la dea romana dei frutti, refrattaria a qualsiasi unione con gli uomini a tal punto da non permettere l’accesso nel suo bosco a nessun esponente del genere maschile, neanche agli animali. Per sedurla Vertumno si sarebbe prima trasformato in una vecchia che, con argomenti suadenti, avrebbe convinto Pomona dei vantaggi del matrimonio e poi, dopo averla persuasa, in un giovanetto di stupefacente bellezza nelle braccia del quale lei sarebbe caduta». Vertumno, nella lettura che ci propone Falciani, è il giovine nudo seduto sulla balaustra di marmo, al centro della composizione sul lato sinistro, non più il vecchio in basso come si è detto in passato. «L’unica figura anziana di cui Ovidio parla è una donna, e la cita nel punto esatto in cui questa appare a Pomona per spingerla ad accoppiarsi. Sappiamo che poi il Dio per sedurla avrebbe prese le sembianze di un bel giovane. Come potrebbe essere quel vecchio? Nella mia interpretazione l’affresco rappresenta la seconda parte della vicenda, quando è già avvenuto l’accoppiamento tra il dio e la dea. Un amplesso, il loro, che si è consumato sotto l’alloro mediceo e che ha già partorito i suoi frutti». Falciani prosegue la sua spiegazione: «Se diamo per buona questa premessa le quattro figure che, oltre ai putti, animano l’opera in basso, simboleggiano gli agricoltori che raccolgono i frutti della natura e della coppia divina. Evidente, per esempio, è la falce nella mano della donna con l’abito verde. Così letta l’opera tiene insieme la celebrazione del ritmo ciclico della natura caro al Magnifico, e l’omaggio alla potenza dei Medici che genera frutti in gran copia, voluta dal Papa». A chi legge il gioco del riconoscimento. A chi guarda l’incanto dei colori del Pontormo.

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