La storia di un corteggiamento dietro al disco di Fonte su Ciampi, scomparso 40 anni fa
di Fulvio Paloscia
È una storia di risse per gelosia. Tra un uomo calabrese ” tutto d’un pezzo”. E il livornese Piero Ciampi che, va da sé, era anarchico anche nell’approccio all’altro sesso. Ad assistere alla baruffa, un ragazzo non ancora quattordicenne oggi stimatissimo cantautore, prosecutore di quella genìa di artisti che si dividono tra l’arte vissuta in totale libertà e purezza, senza condiziamenti, e una professione ben più redditizia: Peppe Fonte, di mestiere avvocato. Come Paolo Conte. E come Pino Pavone, storico collaboratore di Ciampi tramite il fratello dell’artista livornese, Roberto, anche lui legale, con cui aprì uno studio a Roma. Fu proprio Pavone a portare Ciampi a casa Fonte. «Quel giorno — ricorda Peppe — Piero s’imbattè nella nonna, una donna di grande fascino verso la quale iniziò a spendere parole di poeticissimo apprezzamento. A mio nonno, calabrese sin nel midollo, questo non andò giù. Volarono insulti, Piero se ne andò sbattendo la porta. Abbandonando su un tavolo due suoi dischi che mi avrebbero cambiato la vita: Io e te abbiamo perso la bussola e Piero Ciampi. Li misi subito sullo stereo per capire che razza di musica faceva quello strano signore. E fu così che la mia vita cambiò».
Grazie a Peppe Fonte, arriva dalla Calabria ( amatissima da Ciampi, la considerava un rifugio) il primo (e si spera non unico) omaggio discografico a Ciampi nel quarantesimo della morte: in attesa che Livorno proponga un suo omaggio( « ci stiamo pensando, nei limiti del possibile » dice l’assessore alla cultura del Comune livornese Simone Lenzi, alludendo alla difficoltà legate al Covid), l’artista di Catanzaro pubblica per Squilibri Le canzoni di Piero Ciampi e Pino Pavone, album più booklet ricco di contributi ( tra cui uno scritto di Sergio Secondiano Sacchi) in omaggio ai due suoi grandi maestri. Tra pietre miliari del repertorio ciampiano e la temeraria impresa di dare forma di canzone, con la complicità e l’imprimatur di Pavone, ad alcuni appunti che Ciampi conservava in una valigia dove aveva riposto le pochissime cose che possedeva, povero in canna. « Prima di essere ricoverato per tumore all’esofago, la consegnò a Pino, che ancora la conserva: Piero era consapevole della fine. Ciampi raccoglieva appunti ovunque capitasse, spesso si trattava di singole frasi apparentemente senza senso, lacerti di poesia. Ma talvolta si trattava di qualcosa di più strutturato, magari indecifrabile vuoi per la calligrafia, vuoi per le cancellature e riscritture sovrapposte, vuoi perché da ubriaco comprometteva ancora di più l’intelligibilità di quegli scritti».
Utilizzando e metabolizzando quei frammenti sono nati gli inediti Questi poeti «che non portano segni visibili / né sorrisi facili» o Figlia del mare, dove si ritrovano potenti aforismi come «Cristo consegna la croce al primo venuto » , immagine che Ciampi ripensa e rimodella nel tempo: «La grande modernità di Piero — aggiunge Fonte, che firma quelle tracce con Pavone — è stata non solo portare spostare il focus delle canzoni dall’effimero a temi scottanti come l’omicidio ( Raptus), o il racconto di un divorzio ( In un palazzo di giustizia).
Credo che la lealtà sia il grande, eterno messaggio di Ciampi: se gli artisti sorridono perché così vengono ascoltati, lui preferisce la cruda verità. Che è sempre scomoda. Si sofferma senza frottole sulle cose che gli accadono a un metro di distanza, non scrive canzoni su grandi eventi ma su piccole tristi storie, apparentemente banali ma grandissime nella loro sincerità. E se qualcun altro impiegherebbe chissà quante parole per raccontare uno stato d’animo, a lui bastano veloci pennellate: il divorzio (e tutti i rovelli che ne conseguono) diventa ” io ti sparo, tu mi spari”, l’uomo ucciso in Raptus “lo vidi cadere/ sembrava una statua”. La sintesi allusiva è il dono dei poeti. Dei grandi poeti». Peppe Fonte è stato anche centravanti nel Catanzaro dei primi anni Ottanta, serie B. «Adoravo il campo, il gioco, ma non tutto il resto, come la monomaniacalità di chi lo pratica. E che non conosce altro argomento di conversazione né prima né dopo la partita » . Accade anche nel mondo della canzone? «Bisogna fare una distinzione. Il musicista è diverso dall’artista. Perché un musicista ha una capacità espressiva che nasce dalla tecnica, ed è il mezzo attraverso il quale l’artista esprime la sua creatività e la sapienza sciamanica di leggere e interpretare sentimenti, eventi. Questo era Ciampi. L’archetipo dell’artista».