Proposte
e Gaia Ravalli , Nicoletta Matteuzzi , Benedetta Chiesi, Silvia De Luca, Giovanni Giura,
L’ iniziativa «Per un’altra Firenze. Percorsi di visita e percorsi di ricerca», un ciclo di tre Webinar (14, 21 e 28 maggio) su conservazione, conoscenza e comunicazione nei beni culturali organizzato da Fulvio Cervini, Andrea De Marchi e Cristiano Giometti del Dipartimento SAGAS (Storia, Archeologia, Geografia, Arte e Spettacolo) dell’Università di Firenze, è stata davvero apprezzabile e stimolante per molteplici ragioni.
Di fronte all’emergenza sanitaria e sociale scatenata dal coronavirus, che riguarda tutti in prima persona, come cittadini e membri consapevoli di una stessa comunità, questa è stata una vera «chiamata alle idee». Professori, amministratori, direttori museali, imprenditori, manager, studenti, specializzandi e dottorandi, storici e giornalisti si sono confrontati sul binomio Firenze e Cultura, ai tempi del Covid ma non solo, avanzando riflessioni e proposte anche in relazione alla famigerata ripartenza.
Come in un’istantanea di un tempo sospeso, attraverso l’abolizione (letterale e figurata) del rumore di fondo, il virus ci ha restituito un’immagine senza filtri di quello che sono diventate le nostre città e il nostro territorio — e Firenze in particolare — costringendoci al confronto con problematiche come quelle del turismo intensivo, del ruolo di università e ricerca e del loro rapporto col mondo del lavoro, della sperequazione delle risorse tra piccoli e grandi musei, che costituiscono un’emergenza ormai da troppi anni.
Per noi, storici dell’arte formati in questa Università, è stato naturale ascoltare con grande interesse le tre puntate. Altrettanto naturale ci è sembrato tentare un passo ulteriore, provando a mettere nero su bianco alcune riflessioni sull’iniziativa, sottolineando quanto di buono è emerso, ma al contempo ribadendo con forza il bisogno di concretezza, che purtroppo è spesso mancata negli interventi.
La città, i cittadini, i turistiLa discussione è stata avviata da amministratori di Regione e Comune, che hanno parlato di rigenerazione urbana e di residenze d’artista, nell’ottica di restituire nuova vitalità al tessuto cittadino. Ma, come solo a tratti è emerso dal Webinar, uno dei nodi più delicati del problema è piuttosto quello di restituire alla città quanto più possibile una dimensione a misura d’uomo. Le politiche adottate ormai da decenni vanno invece nella direzione opposta: la crescita esponenziale dell’offerta ricettiva e ricreativa ha monopolizzato spazi e attività della vita del centro storico (per qualche dato cfr. in ultimo I. Agostini, Firenze città storica: monocoltura turistica nel vuoto pianificatorio , in Il diritto alla città storica , Roma 2018). Sarebbe necessario ridiscutere le condizioni per far sopravvivere nel centro cittadino attività di pubblico interesse, di commercio al dettaglio, di artigianato, rivedendo almeno parzialmente e in modo più equilibrato le operazioni di dislocamento di funzioni amministrative, come tribunale o polo universitario. Bisognerebbe altresì porre un freno all’irresponsabile frazionamento interno degli edifici storici (mentre al contrario il sindaco chiede ora un allentamento dei vincoli) che favorisce la speculazione, e introdurre un calmieramento di affitti e vendite degli immobili, allo scopo di riportare in centro residenti stabili e recuperare una dimensione di reale e viva quotidianità.
La forza attrattiva di Firenze è innegabile. Sarebbe utopistico (nonché ingiusto) — come sottolineato da Alina Payne — chiedere a un turista, magari durante la sua once-in-a-lifetime experience , di rinunciare ai simboli più rappresentativi della città: il David, così come il Colosseo o il Ponte di Rialto, non può essere negato a nessuno. Si dovrebbe semmai cercare da un lato di offrire al visitatore un racconto più ricco e articolato, agire sulla dimensione narrativa della città affidandola alle giuste professionalità del settore, come proposto dai dottorandi del SAGAS; dall’altro investire sulla rete che lega i vari luoghi della cultura, ad esempio, anche attraverso un uso intelligente e diversificato dei biglietti cumulativi. Ma per raccogliere una sfida così difficile come l’educazione (e non solo degli stranieri) a un turismo più consapevole è indispensabile che Firenze in primis abbia la volontà di rinunciare alla sua immagine da cartolina, al ruolo consolidato di città-culto, liberandosi dall’idea che il turismo sia e debba essere la sua primaria fonte di reddito. Del resto, come ha sottolineato Mario Curia, il turismo non costituisce una percentuale così elevata del Pil cittadino come normalmente si crede, e tende a generare una ricchezza sempre più polarizzata verso grandi attrattori economici.
Musei e territorioSi è parlato molto di re-indirizzamento dei flussi turistici per decongestionare il centro storico, in favore di aree periferiche e provinciali, con proposte che mirano alla creazione di nuovi poli museali o alla redistribuzione di opere d’arte, attraverso, ad esempio, il loro ricollocamento nei luoghi per i quali furono create, tema — quest’ultimo — recentemente sollevato dal direttore degli Uffizi, Eike Schmidt.
Sono proposte stimolanti e affascinanti, sia per lo storico dell’arte che sente come una conquista la possibilità di ricostruire contesti del passato, sia per qualsiasi cittadino che vive quelle stesse opere come parte integrante della propria quotidianità e memoria storica. Tuttavia emerge con chiarezza, a nostro avviso, accanto a una necessaria valutazione caso per caso, il bisogno di garantire la sicurezza e la corretta fruizione di quelle stesse opere: quante volte dipinti, sculture, oreficerie anche di primaria importanza sono inavvicinabili nelle chiese, difficili da raggiungere persino per ragioni di studio? Quante volte i portoni restano chiusi a ogni orario?
D’altro canto è fondamentale tornare a legare Firenze al suo territorio, ma non tanto attraverso la creazione di nuovi contenitori museali in periferia (Andrea Pessina), con il rischio di alimentare l’inflazionato concetto di «museo diffuso». Musei in provincia ce ne sono già moltissimi e di grande valore e qualità, pronti a collaborare con le istituzioni e i centri di ricerca fiorentini. Allargare lo sguardo dalla città ai suoi contorni dovrebbe voler dire, in prima battuta, guardare con nuovo e vivo interesse a queste realtà locali, che pur tra mille difficoltà, ora più che mai, lavorano per l’approfondimento e la valorizzazione del patrimonio. Esiste semmai il pericolo di una gestione gerarchica di questo rapporto Firenze/territorio, da scongiurare attraverso una reale e quanto più possibile paritaria collaborazione, evitando una strada centro-periferia a senso unico. La città potrebbe al contrario fare tesoro delle competenze di decentramento già in atto, e del modo in cui il territorio si relaziona al suo patrimonio diffuso, favorendo il rapporto fra questo e le comunità locali.
Musei, Università e ricercaBiblioteche, archivi, musei e siti monumentali fiorentini – che nel corso del dibattito sono sembrati chiudersi a riccio, impegnati soprattutto a sottolineare le proprie iniziative, senza interrogarsi sulle reali possibilità di cooperazione, rappresentano un anello imprescindibile di questa rete, per la tutela, per la ricerca, per il futuro delle professioni nei beni culturali.
Nella realtà però non è scontato il dialogo tra professionisti del settore e studenti, e le collaborazioni — salvo alcune virtuose eccezioni — sono spesso soggette allo spettro dello sfruttamento a tempo determinato e determinatissimo (quando non restano addirittura sulla carta), impedendo una proficua formazione sul campo, con tutto il bagaglio di competenze e contatti che ne deriverebbe.
Un termine emerso a più riprese e in modo trasversale è stato «digitalizzazione». L’emergenza del coronavirus ha dimostrato l’attualità di questo tema, svuotando le sale di musei, istituti di ricerca, biblioteche e archivi, lasciati, ora più che mai, alla mercé di un futuro difficile e incerto. Per quanto siano stati fatti alcuni passi in avanti, siamo ancora lontani da una soddisfacente accessibilità in rete delle informazioni, sia nei siti delle singole istituzioni sia nei sistemi di catalogo ministeriali, che funzionano a singhiozzi e sono spesso fruibili solo da alcune postazioni. Si tratta di una lacuna tutta italiana che affligge sia le piccole realtà sia i grandi poli di fama internazionale. Mai come in questo ambito si sente la mancanza di risorse giovani, di sistemi di condivisione gratuita delle informazioni e delle immagini (nessuno ha detto quanto uno studioso deve pagare per una fotografia?). Una proposta concreta e attuabile per risolvere questa carenza potrebbe essere quella di costruire un progetto di digitalizzazione condiviso tra università e istituzioni, il più possibile sistematico e diffuso sul territorio. Tale progetto, esteso su scala nazionale, offrirebbe a studenti ed ex-studenti la possibilità di fare un’esperienza lavorativa concreta, formativa e finalmente utile (fatto non scontato per uno stage curricolare), e ai musei un servizio dai costi contenuti, in forma potenzialmente replicabile e continuativa nel tempo.
Iniziative come questa agirebbero positivamente sulla distanza drammatica che separa il mondo del lavoro dall’università: è vero che la terza missione degli atenei non può e non deve trasformarsi in un ufficio collocamento, ma questi hanno il dovere di porsi il problema dell’avvicinamento alla professione dei propri giovani in formazione, della spendibilità del loro profilo nel panorama attuale. Altrettanto grave è il ritardo con cui i laureati si trovano a poter finalmente entrare nel mondo del lavoro nei beni culturali, a partire dai tirocini post laurea correttamente retribuiti. Storici dell’arte e musei sono legati da un vicendevole bisogno, troppe volte ignorato.
Per una quarta puntataQuesti incontri a distanza hanno seminato idee e vorremmo che il processo messo in moto non si fermasse; e anzi, dopo un tempo di riflessione, provare a raccoglierne i frutti in un momento realmente dialettico (una dimensione che forse è mancata in questo format). Non potendo per ora immaginare un incontro in presenza, vorremmo proporre un quarto Webinar basato sulle domande, sul confronto, ma soprattutto sulle proposte. Tra le varie voci vorremmo riascoltare e interrogare quelle della politica, e confrontarci anche con chi è portatore di interessi diversi, spesso antitetici con quelli culturali (pensiamo ai molti soggetti che operano nel turismo di massa).
La fortuna di fare un mestiere come quello dello storico dell’arte, che ci permette di tenere la testa nel passato, non comporta la mancanza di concretezza o l’incapacità di leggere il presente. Le nostre professioni sono necessariamente legate alle scelte amministrative della città; lo stesso è il futuro della cultura in tutte le sue accezioni.
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