Pd sindrome governista

Carlo Bertini
Roma
Ora, è vero che Enrico Letta ripete sempre che il governo Draghi è il «nostro governo», ma è vero pure che l’altra sera da Vespa ha ammesso «siamo gli unici a sostenerlo, perché tutti gli altri si differenziano». Dunque, paura numero uno: «il fantasma del Monti bis», come lo battezza un ex ministro dem, ovvero restare infilzati alle urne dieci anni dopo dalla stessa sindrome del 2013, intrappolati nelle larghe intese (con Salvini stavolta), nel ruolo di partito dell’establishment. Un partito sfidato dalla Meloni sul fronte sociale e più scoperto a sinistra sulla guerra («perché purtroppo una parte del nostro mondo è distante», fa notare preoccupato Gianni Cuperlo a Barbara Pollastrini in Transatlantico).
Ecco la paura numero due: la minaccia dei «nemici a sinistra» (come si diceva ai tempi del Pci), oggi rappresentata dai grillini pacifisti e antimilitaristi, smarcati dall’ex banchiere Draghi e meno appiattiti sulla parola d’ordine «responsabilità». La competition con il Movimento sta diventando scivolosa, anche se uno degli strateghi di Letta, sempre defilato ma influente, sostiene che «il tentativo di Conte di distinguersi è comprensibile, magari bloccano l’emorragia di consensi e per noi è pure meglio in vista delle politiche». Dove si andrà per forza alleati, perché con la legge attuale un voto in più nei collegi serve. Peccato che con il loro distanziarsi i grillini assumano un profilo non solo di ritorno alle origini, ma molto di sinistra mettendo i piedi nel piatto del «partito dei lavoratori»: non a caso Giuseppe Conte ha incassato una standing ovation al congresso di Bersani e Speranza. E non a caso una figura a lui molto vicina resta Goffredo Bettini, ideologo della sinistra dem, al lavoro in questi giorni a un libro che sarà una sorta di manifesto politico: che non si può escludere possa divenire la base teorica di una nuova formazione “rossa”. Bettini infatti è uso dire che va risolto il nodo di un partito dove convivono il «diavolo e l’acqua santa», gli ex renziani e la sinistra: nodo che andrà chiarito a suo tempo in un congresso o in altro modo.
E nel capovolgimento dei fronti provocato dalla guerra, le nuove guardie del corpo di Letta sono proprio gli ex renziani della corrente del ministro della Difesa Lorenzo Guerini, ispiratore della linea della fermezza pro-Ucraina. Per far fronte a entrambe le paure dem, non c’è rimedio, se non il pressing sul governo: da settimane c’è chi, come Francesco Boccia (che stende le candidature delle amministrative insieme ad Alfonso Bonafede) teorizza che «se si votasse in autunno sarebbe meglio», pur sapendo che «con la guerra e la crisi, si voterà nel 2023». Un sentimento diffuso tra i dem, che si può pensare potrebbero accogliere come una liberazione uno showdown ad opera di Salvini, che magari costringa tutti alle urne a ottobre. Lo stesso Letta si è sfogato, «se siamo da soli a prendere schiaffi non si va avanti». Ma piantato com’è con i piedi per terra, il leader ha messo in campo le contromisure: la campagna martellante per una «manovra choc» di aiuti ai lavoratori per riparare al caro bollette e lo slogan sulla tutela dei salari, per «non regalare la questione sociale alla destra e non delegarla a nessuno», ovvero ai grillini.
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