Un secolo fa Paul Celan nasceva a Cernauti, oggi Cernivci. Il capoluogo della Bukovina ha avuto vari nomi a seconda della componente etnica al potere: asburgica, rumena, russa e infine ucraina. Gli ebrei non hanno mai avuto potere, ma dopo il crollo dell’Urss Cernivci ha dedicato al grande poeta un busto, una via e un festival di fine estate, il Meridian. Il ribollente minestrone di popoli si era intanto semplificato appiattendosi sulla componente ucraina in un borsch slavato.

La prospettiva multietnica è fondamentale. Celan ha manifestato talento linguistico fin dalla scuola e amava tradurre. Era negato in matematica e non so quanto tenesse conto delle date: oltre che un secolo dalla nascita è passato mezzo secolo dalla morte, avvenuta buttandosi nella Senna a Parigi, verso fine aprile 1970. Il 12 maggio si è celebrato il funerale e la sepoltura nel cimitero di Thiais, dove si trova un altro scrittore ebreo, orfano austroungarico, Joseph Roth. La volontà di morire deve essere stata forte: Celan è cresciuto nuotando nelle acque del fiume Prut.

Per farsi un’idea della sua vita ci sono Paul Celan. Biografia della giovinezza (Giuntina) di Israel Chalfen e la cronologia del volume di liriche nei Meridiani (Mondadori) a cura di Giuseppe Bevilacqua. Bevilacqua conosceva personalmente Celan ed è il suo principale studioso. Lascia perplessi la sua versione della più nota lirica celaniana, Fuga della morte. Fin dall’incipit dove il “latte nero” diventa “negro”.

Gli studenti dei Paesi di lingua tedesca lo imparano a scuola con buona pace del divieto adorniano sulla poesia dopo Auschwitz. I genitori di Paul, Leo e Fritzi, sono morti nei lager. Lui è sopravvissuto a un campo di lavoro. Con loro finisce la resistenza di Celan nei confronti della dimensione ebraica, una forma di ribellione all’autorità paterna. Inizia il senso di colpa per non avere assecondato il padre nei suoi progetti di emigrazione in Sudamerica e non avere costretto lui e la madre a lasciare la casa nel ghetto nell’imminenza del rastrellamento. “Tutti i poeti sono ebrei”, arriverà a scrivere citando la Cvetaeva. E la sua ultima parola pubblicata sarà “Sabbath”. Così si conclude la poesia datata 13 aprile 1970, I vignaioli.

Su Celan ha pesato l’accusa di plagio da parte della moglie del poeta ebreo francese di lingua tedesca Yvan Goll. La comunità letteraria parigina ha difeso Celan. A partire dal Gruppo 47, con gli intellettuali tedeschi aveva un rapporto più difficile anche per l’attenzione che ha messo sul genocidio. Si è inserito nella vita artistica parigina, ma ha sempre sofferto la perdita della patria, rimasta viva solo nella Muttersprache, la lingua tedesca imparata dalla madre. Per questo non l’ha mai abbandonata benché fosse la lingua degli assassini e padroneggiasse francese e rumeno. Il rapporto con Ingebor Bachmann, desiderosa di uscire dall’ambiente dov’era fiorito il nazismo, trova sfogo letterario nel romanzo di lei Malina e in alcune liriche di Celan. In particolare Corona: “Noi ci amiamo come papavero e memoria,/ noi dormiamo come vino nelle conchiglie”. Helmut Böttiger racconta il loro dolente amore in un libro edito da Neri Pozza, Ci diciamo l’oscuro.

Celan sposa Gisèle Lestrange e avrà da lei un figlio, Éric. Somiglia a Paul e ci siamo incontrati a Cernivci. Era la prima volta che metteva piede qui. Tra il quartiere ebraico, il cimitero semiabbandonato e la grande sinagoga trasformata in cinema, gusci svuotati restituivano il rumore delle preghiere e delle feste ma anche degli spari e degli ordini. Quel mondo sopravvissuto solo nei versi sembrava a Éric tanto più prezioso mentre nella parte orientale del Paese infuriava la guerra. Éric giocava con una moneta, l’inflazionata grivna, facendosela roteare tra le dita e mi ha detto di lavorare come illusionista in Francia. La multietnicità declinata al presente crea conflitti, al passato rimpianti e letteratura.