Parma: Cultura come metronomo della vita

La grande sfida e intuizione del progetto delle Capitali italiane della Cultura risiede senz’altro nella vocazione sistemica della chiamata che dal 2014 il Mibact ha promosso, mettendo in palio un milione di euro per la città vincitrice. Con il passare del tempo non va soltanto crescendo il numero delle città o delle reti di Comuni che fanno squadra e presentano la loro candidatura, ma va soprattutto affinandosi la struttura dei progetti, nei quali la proposta culturale e le politiche di tutela, valorizzazione e promozione dei territori arrivano finalmente a pervadere tutti gli ambiti della vita delle comunità e riescono a guardare ben oltre l’anno di Capitale. Si consolida insomma l’idea che la cultura debba ripensare la sua funzione reclamando uno spazio da protagonista nelle politiche di sviluppo locali e nazionali, abbandonando il ruolo di remissivo custode di ciò che la nostra storia e le nostre tradizioni ci permettono di vantare.

Nel suo dossier di candidatura, Parma è partita da un approccio urbanistico. Bisognava prima di tutto considerare lo sviluppo della città e il pensiero che vi era dietro per poter capire come innervare su quello sviluppo una programmazione culturale che tenesse conto della vitalità e della complessità di una città in costante movimento. L’ambizioso progetto di rigenerazione urbana che ha caratterizzato Parma negli ultimi anni ha convogliato le sue attenzioni e le sue risorse verso dei “distretti socio-culturali” dislocati tra il centro storico e i quartieri della periferia e legati al recupero di monumenti ed edifici storici, di aree industriali, di parchi. Lo studio del lavoro svolto e da svolgere sui distretti, ha portato, con un gioco di parole, ad affiancare al concetto di rigenerazione dello spazio quello di rigenerazione del tempo. Il progetto doveva partire dall’analisi degli spazi per riqualificare il tempo che quegli spazi avrebbero prodotto, per ritrovare all’incrocio tra queste due dimensioni del nostro abitare la città l’occasione di un cambio di passo e la spinta verso un progetto di maggior inclusione e partecipazione culturale. Il claim di Parma 2020 è nato da lì: «La cultura batte il tempo», dove quel verbo significa sia la necessità che la cultura torni ad essere il metronomo della vita cittadina, sia la consapevolezza che è la cultura a vincere il tempo, ad abbattere gli steccati storici e sociali che il suo incedere spesso erige.

Il tema monografico ha una sua indubbia utilità nel ridurre i rischi della dispersione delle energie e nel convogliarle in una direzione condivisa e programmatica che porti a lavorare su parole specifiche, capaci di diventare campi di forze entro i quali la città possa mettersi in gioco. Il tempo è un tema alto, che costeggia questioni filosofiche e scientifiche difficili da declinare in un dossier di sessanta pagine, eppure una volta entrato in dialogo con i partner del progetto ha immediatamente toccato terra ed è diventato musica, teatro, cinema, arte, scienza e cantiere di discussione sul futuro della città. Entrando in una mostra, immergendosi nelle installazioni e nei percorsi multimediali, assistendo ai progetti speciali che il sistema teatrale e musicale cittadino ha deciso di mettere in piedi, percorrendo i tragitti culturali che collegano Parma al suo territorio e alle città vicine, seguendo il fitto programma scientifico dell’Ateneo o il grande sforzo delle associazioni cittadine, si avvertirà la tensione comunitaria a sostare sul tempo, a manipolarlo, a sfidarlo, a raccontarlo. Sarà in quei momenti, dentro e oltre i valori artistici, storici e scientifici, che bisognerà rendersi conto che tutto parla di noi, tutto ci spinge a guardare il mondo in modo diverso – “critico” nel senso etimologico e troppo dimenticato del termine –, tutto ci dice che senza vivere lo spazio e il tempo della cultura ci è impossibile essere custodi e protagonisti dello spazio e del tempo che ogni giorno, di fretta, attraversiamo.

Prendo ad esempio quello che è stato il progetto pilota del dossier di Parma 2020, il progetto sull’Ospedale Vecchio. Fondato nel 1201 da Rodolfo Tanzi, questo prodigioso organismo architettonico che respira dentro uno dei quartieri più vitali della città, l’Oltretorrente, è stato a lungo dimenticato, sconosciuto nella sua storia e nelle sue funzioni ai parmigiani stessi e rappresenta oggi uno dei distretti socio-culturali (il distretto della memoria) più complessi per dimensione e funzioni da recuperare e valorizzare. Nella grande crociera dell’Ospedale, impressionante per lunghezza e verticalità, Studio Azzurro allestirà una mostra-installazione intitolata Hospitale, a richiamare non solo le funzioni assistenziali e caritative del posto, ma a ribadire nel presente quella che deve essere una vocazione della moderna città multiculturale. Il recupero storico dell’edificio e la narrazione della sua storia si incontrano nella sfida tecnologica di Studio Azzurro, in un incrocio di codici, stupori e meraviglie che offre il palinsesto temporale più audace e paradigmatico.

Sono oltre 400 i progetti di Parma 2020, che vedono una straordinaria partecipazione dei Comuni della provincia, contributi di artisti e intellettuali europei e che, per la prima volta nella pur breve storia delle Capitali Italiane, includono altre due città: Piacenza e Reggio Emilia. Sono troppi? Verrebbe da dire di sì. Eppure quei 400 progetti sono la base ampia e partecipata che deve poter accogliere nel 2020 quante più persone possibili, di ogni età, provenienza ed estrazione culturale. Poi occorrerà lavorare su alcune linee progettuali che devono naturalmente durare oltre il 2020: il tema dell’integrazione (per Parma il multiculturalismo è stato nei secoli un valore inestimabile), la partecipazione e la libertà espressiva delle giovani generazioni, gli obiettivi sostenibili dell’Agenda 2030 (uno dei più importanti manifesti culturali degli ultimi tempi), la maturazione del fondamentale rapporto tra imprese e cultura che è uno dei cardini di Parma 2020.

Noi siamo i tempi, diceva Sant’Agostino. Una bella responsabilità, cui non ci si può più, in nessun modo, sottrarre.

Docente all’Università di Parma

e Assessore alla Cultura

del Comune di Parma

 

 

Michele Guerra

Colpo di scena.  Il Teatro Farnese venne realizzato dall’architetto Giovan Battista Aleotti tra il 1617 e 1618 nel Palazzo della Pilotta a Parma come teatro di corte dei duchi di Parma e Piacenza. Oggi è inserito all’interno del percorso della Galleria Nazionale di Parma. Completato nell’autunno del 1618 e dedicato alla dea della guerra Bellona e alle Muse, il teatro rimase inutilizzato per dieci anni e venne inaugurato solo il 21 dicembre 1628, in occasione delle nozze di Odoardo Farnese con Margherita de’ Medici