Orcel chiude su Mps Ma ora per Unicredit lo shopping è più caro

di Vittoria Puledda
MILANO — «La finestra che si era aperta per un accordo con Mps ora per noi si è chiusa». La presentazione agli analisti dei conti trimestrali record di Unicredit (3 miliardi di utile netto, contro la perdita di 1,6 miliardi dell’anno prima) va avanti da oltre un’ora e quaranta minuti, quando Andrea Orcel mette davvero la parola fine alle speculazioni su un possibile ritorno al tavolo dei negoziati con il Tesoro. Non che fosse stato vago nelle risposte precedenti («Mps non farà parte della nostra strategia futura», aveva detto ricordando quanto comunicato durante il week end) ma anche tra gli addetti ai lavori qualche dubbio evidentemente era restato.
In questa fase, ha ricordato più volte l’amministratore delegato, «il focus è sulla crescita organica e sul piano industriale» che sarà presentato il 9 dicembre. Orcel ha sottolineato più volte che fusioni e acquisizioni funzionano solo se accrescono valore, non sono «un fine» e verranno fatte solo «a certe condizioni».
«Orcel è stato giustamente abbottonato sul tema dell’M&A – sotolinea però Guido Pardini, co-direttore generale di Intermonte ma credo sia inevitabile che guardi ad acquisizioni e la soluzione migliore in Italia è il Banco Bpm: non può restare confinato al quarto posto in Lombardia, l’area più ricca del paese».
Certo però il quadro normativo ora si preannuncia meno benevolo: nella bozza della legge di Bilancio le misure sulla trasformazione delle Dta in crediti di imposta sono state prorogate al primo semestre 2022 ma è stato introdotto un tetto massimo di 500 milioni, che prima non era previsto. Una misura che limita la convenienza in caso di fusioni: i valori assoluti cambiano rispetto alle grandezze delle banche coinvolte, ma fino a questo momento si parlava di una “dote” di circa 2 miliardi per Mps, di 3 miliardi per Banco Bpm, di 400 milioni per Carige e di 136 miloni per la Popolare di Sondrio. A quanto sembra di capire, a questo punto saranno incentivate solo le operazioni con banche di dimensioni più ridotte. E questo, nonostante Orcel abbia dichiarato a proposito di Dta di «non vederle come un’acceleratore» delle fusioni, modifica il quadro.
Anche stand alone, comunque, Unicredit ha ingranato la marcia. Tanto che Orcel ha annunciato nuovi target per il 2021, con ricavi attesi a 17,5 miliardi e un utile “sottostante” (senza alcune voci extra) oltre i 3,7 miliardi. Solo nel terzo trimestre l’utile sottostante è stato pari a 1,1 miliardi (+55,6% rispetto a un anno fa) sostenuto da commissioni che crescono del 12,5%. Bene anche l’Italia, con un utile netto che sale del 15,5% nei nove mesi e un utile operativo lordo «che migliora quasi del 10%. Il principale mercato del gruppo sarà peraltro oggetto di una riorganizzazione già annunciata, che prenderà forma a partire dal 13 dicembre.
Adesso l’attenzione è tutta concentrata sul piano industriale. «Il maggior valore che possiamo creare è dal punto di vista organico e questo è stato, e rimane, il nostro obiettivo incrollabile», ha spiegato Orcel. Ma è probabile che per ora non abbia mostrato tutte le carte.
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