Il ballo delle anime perse

Il ballo delle anime perse

Finisce qui. Il “governo del cambiamento” doveva rivoltare l’Italia rivoltare l’Italia “come un calzino” e aprire il Parlamento “come una scatoletta di tonno”, e invece va a casa così, in un pomeriggio d’agosto qualsiasi. Senza dignità e senza qualità. Nell’inutile spargimento di recriminazioni tardive e invocazioni blasfeme. Tra rosari e Marie Immacolate, miserie umane e furbate dorotee. Tra un altro trimestre di crescita zero e un’altra nave di disperati bloccata a un braccio di mare da Lampedusa. Finisce con il capolavoro al contrario di Salvini, l’infallibile Capitan Mitraglia, l’Uomo che non doveva chiedere mai e che invece ha sbagliato i tempi e i modi della crisi, e in un colpo solo è riuscito, nell’ordine, a uccidere il governo, a suicidare la Lega, a rianimare Di Maio e a resuscitare il Pd.

“Parlamentarizzare” la crisi, come si è detto fin dall’inizio, era un atto dovuto. Sancire solennemente e pubblicamente, di fronte al Senato, la rottura del ridicolo contratto tra privati siglato un anno fa dagli azzeccarbugli lega-stellati era un passaggio necessario. Ma in Parlamento vagano ormai solo anime perse.

È un’anima persa Giuseppe Conte, dal quale ci si aspettava un discorso finalmente all’altezza del ruolo, che trasformasse il vacuo “avvocato del popolo” in un vero “uomo di Stato”. E invece non è stato così, e per offrirsi senza un serio disegno politico a un bis purchessia il premier uscente ha pattinato sulle miserie di questo “anno bellissimo”, raccontandolo per quello che non è stato. Momentaneamente ridisceso da Marte, Conte si è accorto quattordici mesi dopo che Salvini non è Churchill e forse neanche De Gaulle. Solo adesso ha trovato il coraggio di dirgli in faccia tutto quello che in 445 giorni di umiliante convivenza gli ha invece lasciato fare serenamente. Le norme anti-migranti e la scarsa “cultura delle regole”, la “grancassa mediatica” e la “foga comunicativa”, la fuga sulle vicende russe e persino l’abuso dei “simboli religiosi”.

Oggi il Matteo Furioso che “invoca le piazze e chiede pieni poteri” lo preoccupa: ma dov’era, l’ineffabile Sor Contento di Palazzo Chigi, mentre Salvini sulla Ruspa Illiberale spianava lui e Di Maio con le leggi del neo-sovranismo criminogeno, dalla circolare sui prefetti-sceriffi alla nuova legittima difesa, dalla direttiva sulle Ong ai due decreti sicurezza? È giusto chiedere al padre-padrone della Lega un’assunzione di responsabilità rispetto alla crisi. Ma è ancora più giusto che chi ha guidato il Paese insieme a lui per un anno, ed ora gli rimprovera in ritardo gli eccessi ideologici da ultradestra, compia un’analoga assunzione di responsabilità rispetto al governo. Tanto più se ora si immagina candidato a presiederne un altro, stavolta con un alleato di centrosinistra. Un’ipotesi che, a questo punto, sembra davvero marziana.

Ma è un’anima persa anche Salvini, che ha miseramente fallito proprio nel giorno in cui avrebbe dovuto spiegare con parole forti e chiare le ragioni di un’eutanasia politica che era nelle cose, già all’atto di nascita di un governo insensato e innervato solo da una comune venatura sfascio-populista. Il beach-leader è stato penoso nei toni e nei contenuti, dimostrando una volta di più che il suo posto non è il Parlamento ma il Papeete. Tra madonne e fate turchine, ha riciclato agli eletti il solito ammuffito teorema dei troppi “signor no” (i ministri pentasellati che hanno fatto saltare il governo) e rifilato agli elettori una sua implicita Italexit (una manovra-monstre da 50 miliardi che farebbe saltare il bilancio).

Nient’altro: solo bullismo a buon mercato, senza sbocco né costrutto. Salvini ora rischia tutto. Ha perso il Viminale, e questa è comunque una buona notizia per gli italiani, e può perdere anche le elezioni anticipate. Non è affatto scontato che le otterrà. Ed anche se le ottenesse, ci arriverebbe comunque ammaccato dal caos nel quale ha precipitato il Paese e braccato dalle inchieste giudiziarie dalle quali non riesce ad uscire.

Resta un’anima persa anche Di Maio, nonostante Salvini gli abbia regalato l’alibi del “tradimento”. Non può essere una rimpatriata a Casa Grillo a rimettere insieme i cocci di un Movimento che in un solo anno ha perso tutto: la testa, il cuore e sei milioni di voti. Non può essere un’assemblea di condominio nella villa di un comico, a suggellare la “svolta” di una forza politica che chiude un’esperienza di governo con quello che solo oggi si rivela un “cuginetto di Orban” e pretende di aprirne un’altra con quello che solo ieri era il “partito di Bibbiano”.

Come se Lega e Pd fossero intercambiabili, esecrabili e/o riabilitabili secondo la convenienza del momento. Come se questa inversione di marcia non implicasse un ripensamento totale dell’identità e dei valori che devono giustificarla, e dunque un cambiamento radicale della missione politica e dei gruppi dirigenti che devono incarnarla. Queste non sono “semplificazioni organizzative”: sono solo mistificazioni democratiche che un vero, grande partito di massa non si può piu permettere.

Può sembrare un paradosso, ma in questa folle estate italiana l’unico che finora ha forse salvato la faccia, restando fermo mentre la giostra girava e impazziva, è Zingaretti. Ha subito l’incredibile sterzata movimentista di Renzi, ma ha sopportato anche a costo di apparire ancora una volta troppo arrendevole. Non si è precipitato al capezzale del Colosso Gialloverde morente e non ha benedetto Il Frankenstein Giallorosso nascente. E adesso può aspettare, senza bruciarsi, le mosse del Quirinale. L’unico porto sicuro, nello sciagurato Paese che li ha ormai chiusi tutti.