Sussurrando, nel parcheggio di una città estiva, dice, “potendo, mi occuperei soltanto di pittori… libero dal giogo del giornalismo…”. Preferibilmente, Camillo Langone si occupa di questioni connesse allo spirito: vino – Dei miei vini estremi, 2019 –, chiese – Guida alle messe, 2009 –, poesia, ogni tanto, cibo, spesso – la carne è il cuore del cristianesimo –, pittura, soprattutto, arte sacra quando serve (L’arte che protegge è il titolo di una mostra che ha curato ad Ascoli Piceno, una manciata di anni fa). Da una decina d’anni canonizza quelli che definisce Eccellenti pittori (così il libro edito da Marsilio nel 2013;il progetto è confluito in un sito, il diario della pittura italiana vivente, costantemente aggiornato). Di solito, non sono i pittori contemporanei che sfoggiano nelle mostre-monstre, il reggimento dei burocrati del brutto. Langone, per lo più, è un cavaliere del bello – e sta antipatico a molti. Devoto ai piaceri del mondo, appare fuori tempo per eccesso di buon senso, lo vedremmo bene nella Cappadocia del IV secolo, nella cerchia di Gregorio di Nissa, che del bello aveva idea sacra:

“Giacché il divino è la bellezza suprema e il più alto dei beni verso cui inclina tutto ciò che desidera il bello, per questo diciamo che lo spirito, formato a immagine della bellezza più eccelsa, rimane anch’esso nel bello per tutto il tempo in cui partecipa, nella misura in cui ne è capace, della somiglianza dell’archetipo”.

Finché rispecchia il bello, dunque, comunque, la pittura è corazza sacra: frequentarla è un’ascesa, un’ascesi. L’ultima impresa di Langone si chiama Veneto Felice, che è una mostra al Museo Le Carceri di Asiago, un catalogo e un premio, il Premio Brazzale Eccellenti Pittori, che esiste dal 2015, ha onorato artisti d’ineccepibile talento (Nicola Samorì, Enrico Robusti, Nicola Verlato, tra gli altri), tutelati da giurie anticonformiste (negli anni sono apparsi Franco Maria Ricci, Roger Scruton, Aurelio Picca, Richard Millet, Giuseppe Culicchia…). Veneto Felice, in verità – lo dice Langone – è un libro di Giovanni Comisso curato da Nico Naldini, a testimonianza dell’autarchia veneta per quel che riguarda la cultura, e dunque la visione del mondo. Fu Carlo Sgorlon – scrittore da riscoprire – ad aver ribadito l’autonomia letteraria di quello che chiamava Nord-Est. I Racconti di Nord-Est uscirono, per sua cura, nel 1976; Sgorlon – friulano – vedeva in quella didascalia qualcosa di avventuriero (il leggendario “passaggio a Nord-Est”, nel dedalo artico), di mistico (l’Oriente d’Italia), di ribelle: “Nord-Est, nella mente dei veneti, significa soprattutto questo, insoddisfazione profonda nei confronti dell’Italia” (così scrive sul “Messaggero Veneto”, nel 1998). L’insoddisfazione – spirituale prima che politica – dilaga, ora più di allora; Nord-Est è una sorta di estetica – Langone lo sa –, un sogno, una tensione, un rammarico. L’avanguardia del bello.

Che senso ha, oggi, la pittura? Meglio: cosa cerchi, oggi, in un pittore per dichiararlo ‘eccellente’?

Lo stesso senso di sempre, la pittura come diceva Andrea Emo rappresenta l’eternità dell’effimero e il bisogno di esprimere e fissare il tempo si manifesta oggi così come in qualunque altra epoca. Ogni anno, in Italia e nell’universo mondo, spuntano un mucchio di pittori nuovi e alcuni sono addirittura bravi: la pittura non soffre crisi di vocazioni. Inserisco nel novero degli Eccellenti Pittori, sul sito, nei libri, negli articoli, nelle mostre, quei pittori che mi sembrano avere un mondo e un modo personali. La tecnica a volte non è necessaria e mai è sufficiente: spesso mi faccio bastare anche solo il primo elemento, la presenza di un mondo peculiare, di temi e interessi non imitativi.

Il ‘bello’: concetto relativo, desueto, inattuale. Dove lo trovi?

La bellezza non è per nulla inattuale: dalle estetiste c’è la fila e non conosco donne che non desiderino apparire belle. Ma immagino che tu ti riferisca al sistema dell’arte contemporanea, quella che occupa militarmente manifestazioni del nichilismo occidentali come la Biennale di Venezia: lì in effetti la bellezza non viene molto considerata… Io la bellezza la cerco ovunque e ovunque la trovo, perfino in certa arte contemporanea che magari della bellezza si vergogna ma che brutta non riesce a essere.

Ti piacciono forse le battaglie di retroguardia, il sapore della sconfitta, l’epica del tramonto? Insomma: cosa ti piace?

Oddio, no, assolutamente no. Non mi piacciono le retroguardie e non mi piacciono nemmeno le battaglie, detesto ogni tipo di competizione e di conflitto. Detesto anche i tramonti, assistere al presente collasso dell’Italia e della Chiesa, come italiano e come cattolico, mi addolora molto, farei volentieri a meno. Temo che non si evinca ma a me piacciono le nascite, le fioriture.

Perché il Veneto dovrebbe essere più ‘felice’ di altre regioni italiane? Forse perché accoglie la tua idea di ‘mostra’? 

Quella del Veneto Felice è una mia ossessione da tanto, prima in forma di suggestione letteraria derivante innanzitutto da Comisso, senza dimenticare Naldini, Zanzotto, Cibotto, Scapin, poi di autobiografia (in Veneto ho editori, sponsor, amici), infine di statistica. Analizzando gli ultimi dati Istat su numero di disoccupati e numero di reati ho capito che il Veneto Felice di Comisso è attuale oggi più di allora.

Ti piace questo mondo italico di mascherati, di smascherata viltà, di vaccinati e di no-vax? Te ne occupi, insomma?

Non mi piace affatto, è un medical horror a cui non vorrei fornire il minimo contributo, anche se chiaramente mi riesce impossibile. Sul tema la mia posizione è, come spesso mi accade, ultraminoritaria: sono sì vax e no pass, perché il vaccino è un fatto sanitario e il passaporto è un fatto politico, perché la salute è importante ma la libertà di più. Non sono un antivaccinista, sono un anticovidista, contrario alla gestione statale, statalista, illiberale della pandemia.

La messa la gradisci in latino o come viene? In fondo, il buon cattolico obbedisce ai dettami dell’erede di Pietro…

Io non sono un buon cattolico e l’erede di Pietro non è un buon erede… E non c’è molto da stupirsi: nessuno è buono, ha detto Gesù, siamo tutti cattivi. Migliore sarebbe il latino ma consapevole che il meglio è nemico del bene accetto qualsiasi lingua se nel celebrante e nei partecipanti percepisco la fede. Peccato che siano tempi di apostasia, dopo gli organi a canne, le candele vere, l’incenso, gli altari ad orientem, le balaustre, il gregoriano, gli inginocchiatoi, adesso nelle chiese hanno fatto sparire l’acquasanta. Davvero Dio acceca chi vuole perdere.

Giovanni Gasparro, Uomo con tabarro. Ritratto di Camillo Langone, 2015

Come vinci il contemporaneo, il regno del talk show, l’attualità perpetua?

Il contemporaneo ostile evito il più possibile di affrontarlo, ad esempio non guardo la televisione. Non vorrei guardare nemmeno i social ma quelli credo di non potermeli risparmiare: il peggiore è Twitter, appunto per il suo perpetuo frastuono. Miei antidoti ai veleni dei media moderni sono la pittura e la letteratura, i quadri e i libri che offrono pacificante durata.

*In copertina: Camillo Langone secondo Simona Poncia, 2019