Niente marchio e filiali scelte. Le condizioni Unicredit su Mps

di Andrea Greco
MILANO — Hanno trattato 40 giorni, quasi un migliaio di persone e quasi saltando le ferie d’agosto. Ma non hanno concluso: e Unicredit resta determinata a comprare solo la metà migliore del Monte dei Paschi.
Nessuna fusione in vista, intanto: più probabile uno scorporo di attività; in pratica l’acquisizione di un ramo aziendale che comprenda una cinquantina di miliardi di euro di attivi su 90 totali, e circa 1.100 dei 1.400 sportelli targati Mps. Restano fuori i 95 in Sicilia e gli 84 in Puglia, più un altro centinaio di filiali che duplicano la rete Unicredit, ovvero che hanno un rapporto tra costi e volumi che il compratore giudica troppo basso. Nemmeno il marchio storico, il più antico del mondo (1472), sembra interessi all’amministratore delegato di Unicredit Andrea Orcel: ha un valore contabile di 500 milioni e il banchiere non pare disposto a riconoscerla, anche perché l’assenza di rivali sul dossier gli conferisce un forte potere contrattuale. Per completare un puzzle complesso il negoziato esclusivo è stato esteso almeno un mese.
Da un paio di settimane intanto, sono entrati nella “data room” anche Mcc e Amco, due bracci finanziari del Tesoro – la banca per le imprese, reduce dal salvataggio della Popolare di Bari, e il gestore di crediti deteriorati – in campo per rilevare le parti di Mps che Unicredit non vuole. Non solo, come Orcel disse il 29 luglio quando la trattativa fu aperta, i rischi legali da 6,2 miliardi, i crediti in sofferenza per 4,15 miliardi e i crediti di più difficile esigibilità, pari a 15,25 miliardi e classificati “stage 2” nella semestrale Mps.
Unicredit sarebbe poco interessata a un’altra dozzina di miliardi di finanziamenti senesi, perché in capo alle filiali del Sud neglette, o perché vanno a soggetti o ambiti su cui il compratore non vuole o non può crescere. In base alle dichiarazioni e a ciò che si muove dietro le quinte, dove Mediobanca e Credit Suisse fanno da consulenti per Mps e Bofa per il Tesoro, sembra che Mcc possa rilevare fino a 150 sportelli di Mps nel Sud (ma niente più: anche perché si vorrebbe evitare di ricapitalizzarla, e di stravolgerne i piani strategici di “polo del Sud” basato a Bari). Amco, invece, sta studiando i crediti deteriorati per comprare tutte le sofferenze e forse una parte di “stage 2”, tipologia su cui potrebbe anche prestare garanzie di copertura delle prime perdite a Unicredit in prossime cartolarizzazioni sintetiche.
Al via dei supplementari, comunque, non pare che i due compratori delle attività secondarie di Mps siano in grado di rilevare tutto quello che Orcel non vuole del gruppo senese. Si va formando, quindi, un nocciolo duro, e non piccolo, zeppo di attivi, marchi, entità legali – tra cui Mps Capital Services, Mps Leasing e Factoring, Monte Paschi Fiduciaria, il Consorzio operativo che gestisce la rete informatica, tutto con 5-6 mila dipendenti dal futuro incerto. Più che uno spezzatino, insomma, un frullatone, il cui scarto finale potrebbe, in ipotesi estreme, rischiare forme soft di liquidazione. Uno scenario che il Tesoro e il governo vorrebbero evitare. Ieri il capo del Pd, Enrico Letta ha detto che «lo schema su cui l’azionista sta lavorando è uno schema che per noi non è a tutti i costi ». Letta sarà candidato alle elezioni suppletive della Camera il 3 ottobre, a Siena.
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