Nell’archivio di Franco Fortini. Alla riscoperta del Novecento.

VALERIA STRAMBI
Frammenti, schegge di poesia o di prosa. Ritratti di tre minuti in grado di catturare un intero secolo e di indagarne le personalità. Eccolo il Novecento di Franco Fortini, condensato in 49 conversazioni radiofoniche registrate e andate in onda a partire dal 1984 per la rubrica La Selva Letteraria della Rsi, la Radio Svizzera italiana.
Da Alberto Arbasino ad Andrea Zanzotto, passando per Italo Calvino, Umberto Eco, Carlo Emilio Gadda, Mario Luzi e Pier Paolo Pasolini: è così che poeti e prosatori, maestri o colleghi, finiscono sotto l’impietosa lente d’ingrandimento di Fortini, intellettuale, prima che poeta, traduttore, saggista e critico letterario, nato a Firenze nel 1917 da padre di origine ebraica e madre cattolica e inscindibilmente legato a Siena, dove per anni ha insegnato critica letteraria e letterature comparate. Se alcune di queste radiografie, pungenti e parziali eppure incredibilmente definitive, sono confluite nel libro Breve secondo Novecento, pubblicato postumo nel 1996 dall’editore Piero Manni, almeno dodici sono rimaste pura parola. Dimenticate nell’archivio del Centro studi Franco Fortini dell’Università di Siena, tornano a fare capolino grazie al numero 301 de l’immaginazione, rivista letteraria diretta da Anna Grazia D’Oria, che in occasione dei cento anni dalla nascita di Fortini ha scelto di pubblicare il medaglione dedicato a Tommaso Landolfi. «Desolazione e distacco, due risposte degli intellettuali che torneranno frequentemente – commenta Fortini riferendosi a Landolfi che, a differenza sua fu una delle personalità più celebrate dell’epoca, accolto a braccia aperte nel gruppo degli artisti delle Giubbe Rosse, che nei suoi confronti furono invece molto freddi – Ebbe grande successo, come Gadda d’altronde, fra i letterati, soprattutto fiorentini, della sua generazione ». Un ritratto amaro e amareggiato, che ancora oggi suona come un capolavoro di sintesi critica in grado di fotografare precisamente lo stile narrativo del collega: «Ecco un breve racconto tutto dialogato, una scenetta sarcastica scritta dal narratore Tommaso Landolfi – dice Fortini alla Rsi – Il racconto si intitola Il dente di cera, leggo le prime tre righe: “Signora mia, l’arroganza di voi altre padrone di casa è estrema, permettete che ve lo dica. V’ho detto che pagherò, e pagherò benedetto iddio. Intanto favorite farmi da pranzo, sono due giorni che non mangio, ho perduto tutto al gioco”». «C’è subito odore di parodia – prosegue Fortini – Di che cosa? Ma, per cominciare di Goldoni, con quel “voi” che il teatro si è portato dietro per due o tre secoli.
E della lingua francese, vedete l’uso di “estremo”. Il tono manierato e antiquato “favorite” vuol disegnare uno scapestrato, ma vuole che sia convenzionale, fittizio. L’autore esige un lettore capace di godere di una letteratura scomparsa. Il fasto parodico, la burletta del passato serioso, già la troviamo negli scrittori della scapigliatura lombarda, e si continua fino ad oggi. Ad esempio, nelle scritture di Giorgio Manganelli. Sembrano testi destinati ad essere recitati con gli sberleffi di un Paolo Poli». Ma il giudizio di Fortini è senza appello: «In Landolfi abbiamo la finta rappresentazione della finzione: il mondo è intollerabile, fuggiamone. Erede dei romantici, questo riso si fissa e spegne in un ghigno».
Le conversazioni radiofoniche, però, non sono l’unico tesoro nascosto nell’archivio: «Qui esiste una vera e propria miniera di testi e appunti ancora inediti – spiega Stefano Carrai, direttore dell’archivio e professore ordinario di letteratura italiana all’Università di Siena – penso alle oltre seimila lettere scambiate con Roland Barthes, Italo Calvino, Hans Magnus Enzensberger, Vittorio Sereni e altri, ai tremila autografi tra prose, scritti teatrali e traduzioni. La produzione poetica poi, è stata riunita grazie alla pubblicazione di Tutte le poesie (Oscar Mondadori) curata dal suo allievo prediletto Luca Lenzini, ma in archivio restano ancora versi inediti, da scoprire e rileggere nella loro sconcertante attualità».
Fonte: La Repubblica, www.repubblica.it/