Mps va verso la privatizzazione

Il risiko riparte in scala ridotta ma dall’estero sale l’appetito
Il mercato crede in una prossima aggregazione di Bpm (+4,8%) mentre Mps va verso la privatizzazione Il Crédit Agricole con Cariparma potrebbe espandersi ulteriormente. Creval e Pop Sondrio alla finestra
di Luca Piana
MILANO — Giuseppe Castagna deve aver osservato con un certo rammarico il balzo del 4,78% segnato ieri in Borsa dal titolo del suo Banco Bpm. Il manager napoletano, un passato da nuotatore di fondo e una carriera di primo piano in banca, negli ultimi mesi aveva faticato a ridare smalto alle azioni dell’istituto nato nel 2017 dall’unione tra la milanese Bpm e il veronese Banco Popolare, le cui passate gestioni hanno lasciato un’eredità difficile da digerire.
I motivi della fiammata, però, non sono quelli che l’amministratore delegato probabilmente sperava. Castagna, che quest’anno era riuscito ad annunciare il ritorno al dividendo, non faceva mistero di voler porre Banco Bpm al centro di un aggregato più grande, capace di avvicinare colossi come Intesa Sanpaolo e Unicredit. E Ubi Banca, la preda dell’offerta lanciata da Intesa lunedì, sembrava il partner perfetto per Banco Bpm: una fusione tra le due avrebbe «sicuramente» senso, aveva detto a settembre.
Se Ubi finirà a Intesa, Banco Bpm vedrà dunque ridursi drasticamente le opzioni di crescita. L’operazione prevede infatti che, per evitare concentrazioni eccessive, tra 400 e 500 sportelli ex Ubi vadano alla modenese Bper, che con 100 miliardi di euro di attività (dai 79 attuali) diventerebbe la quinta banca italiana, avvicinando sia il Monte Paschi di Siena (132) che Banco Bpm (167). Tra i soggetti spiazzati dalla mossa di Intesa c’è in effetti anche il governo, e in particolare il ministro dell’Economia, Roberto Gualtieri, che ieri alle domande ha risposto «no comment ». Il Tesoro è il maggiore azionista di Mps (+5,11% ieri in Borsa) e si è impegnato con l’Europa a procedere alla sua ri-privatizzazione.
Anche se il risanamento del gruppo senese fa passi avanti e un aiuto arriverà dalla cessione dei crediti inesigibili alla società pubblica Amco, Mps resta una preda difficilissima da digerire per chiunque, a causa dei 5,4 miliardi di contenziosi legali. È per questo che alcuni si erano spinti a ipotizzare una fusione a tre, con Ubi e Banco Bpm insieme, nella speranza di poter spalmare il peso di Siena sui due istituti più solidi e ambiziosi del gruppo delle medie, ben radicati nei territori più ricchi.
Il capo di Ubi, Victor Massiah, su Mps non aveva mai chiuso la porta; ancora lunedì aveva sottolineato la necessità di definire bene gli assetti proprietari («sarebbe originale avere lo Stato come socio») e di comando (serve «chiarezza nella governance ») ma non aveva escluso di poter procedere. Paradossalmente, da sempre, era invece Castagna il più restio a muovere su Mps, dicendo di mirare a «banche vicine». Se però Ubi e Bper usciranno definitivamente dal mirino, le altre ipotesi plausibili sono tutte di taglia più piccola e sia Banco Bpm che Mps rischiano di ritrovarsi, solitarie, nell’angolo: il Credito Valtellinese ha attività per 24 miliardi e la Popolare Sondrio che peraltro non si è ancora trasformata in spa – per 41 miliardi. Le due valtellinesi ieri in Borsa sono salite, così come il Credito Emiliano (+4,23%), che però è già molto redditizio da solo e da sempre pare defilato nel risiko bancario.
Se la mossa di Messina toglierà di mezzo quello che sembrava il perno imprescindibile di ogni altra aggregazione “di peso”, è possibile ipotizzare che ai rialzi di ieri in Borsa abbia contribuito la scommessa che si possano vedere scalate ostili da parte di soggetti stranieri. Gli analisti del Crédit Suisse hanno diffuso un’analisi nella quale dicono di non credere a operazioni di questo genere, a causa delle poche sinergie che ne verrebbero. In Italia, però, esiste già una banca straniera ben radicata, la francese Crédit Agricole, proprietaria da tempo di Cariparma. E nel suo caso, il monito degli analisti svizzeri non varrebbe.
Da notare, infine, come a Piazza Affari sia rimasta inerte Unicredit (-0,64%). Per la banca guidata da Jean Pierre Mustier, che Intesa-Ubi distanzieranno considerevolmente in termini di attività (920 miliardi contro 826), lo scenario su cui sembrano scommettere diversi osservatori è che, nonostante le remore, alla fine possa arrivare davvero un take over dall’estero.
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