Mps, la Borsa tifa per la scissione Il dialogo tra governo e Unicredit

 

Titolo in rialzo del 3,87%. Il nodo del marchio dell’istituto al 64% di proprietà del Tesoro

Fabrizio Massaro

 

L’idea dello spezzatino di Mps torna ad agitare i titoli bancari, a cominciare proprio da quello senese, ieri in rialzo del 3,87% a 1,24 euro. Quella della divisione in più parti dell’istituto senese oggi al 64% di proprietà del Tesoro è un’idea che da tempo gira tra banchieri e advisor, dato che il boccone appare troppo grande per ogni altro istituto e indigesto anche per Unicredit, la banca cui il governo guarda con maggior favore. Ma viene anche considerata per il momento «residuale» in ambienti governativi, sebbene ad essa abbia aperto nei giorni scorsi anche Bernardo Mattarella, amministratore delegato della banca pubblica Mcc (azionista di Popolare di Bari).

Nello scenario dello spezzatino, Unicredit prenderebbe la banca senese insieme con altri istituti. Ma il diavolo sta nei dettagli. «Spezzatino» è metafora di due differenti opzioni: può giuridicamente configurarsi come un conferimento di ramo d’azienda e sarebbe una replica del modello Intesa Sanpaolo-Ubi, operazione nella quale fin da subito venne coinvolta Bper per rilevare — pagandoli — gli sportelli che sarebbero risultati in eccesso per l’Antitrust. Essendo Unicredit e Mps particolarmente radicate nel Sud, parte della rete meridionale potrebbe finire a Mcc, mentre per le altre aree, in particolare in Toscana e nel Veneto, potrebbero essere coinvolte Banco Bpm e Bper e — secondo le indiscrezioni di ieri del Sole 24 Ore — anche Poste Italiane. Ma lo spezzatino può significare anche «scissione» di Mps in più soggetti giuridici autonomi, ciascuno dei quali potrebbe finire a una banca. In quest’ultima ipotesi, i 2,2 miliardi di crediti fiscali (le «Dta») verrebbero distribuiti tra gli acquirenti. In ogni caso resta aperta la questione delle cause legali — circa 10 miliardi a carico di Mps — per le quali l’unica soluzione pare essere quella di una garanzia statale, per esempio fornita da Sace. Ma anch’essa è da studiare nei dettagli e il filone d’inchiesta relativo ai ritardati accantonamenti per 11 miliardi di npl rischia di complicare ulteriormente il quadro. Una transazione con la Fondazione Mps, che vale 3,8 miliardi, alleggerirebbe il bilancio senese.

Le analisi degli esperti sono in corso, anche per venire incontro alle esigenze del governo di salvaguardare il marchio della banca più antica del mondo in attività. Il cambio della guardia in Unicredit con l’arrivo di Andrea Orcel alla guida ha fatto ripartire la trattativa. Ma pare che un accordo potrà arrivare non prima di settembre, e comunque dopo che il premier Mario Draghi e il ministro dell’Economia Daniele Franco avranno smarcato i dossier Alitalia e Ilva, argomenti di confronto con la Ue come Mps.

La mancata estensione oltre il 2021 della finestra per l’utilizzo dei benefici fiscali (Dta), espunta dal Dl Sostegni bis, è considerata sul mercato un elemento di pressione nei confronti del ceo di Unicredit per spingerlo a rompere gli indugi e a decidere su un’eventuale operazione su Siena. C’è tempo fino a fine anno per approvare a livello di cda una fusione; eventualmente si potrebbe puntare — suggerisce un banchiere al lavoro sul dossier — su un’intesa preliminare (un “MoU”) sulla base del quale, eventualmente, estendere poi l’ammontare dei benefici fiscali nell’entità, nella durata e anche nella loro eventuale replicabilità in caso di più fusioni. Molto dipenderà anche dalla situazione patrimoniale di Mps: entro luglio arriveranno i risultati degli stress test dell’Eba; si vedrà quale sarà il fabbisogno per Siena, che già stima un miliardo di deficit patrimoniale a fine 2021.

 

https://www.corriere.it/

#