Mps, il giorno dopo

Il risiko

Unicredit, sprint in Borsa. Il mercato punta su Mps

di Stefano Righi

Titolo su del 4,3%, anticipato il board dei conti. Acquisti su Banco Bpm

 

MILANO La chiusura delle urne alle elezioni suppletive di Siena, da dove Enrico Letta andrà a occupare in Parlamento il seggio lasciato libero da Pier Carlo Padoan nel momento in cui ha accettato la presidenza di Unicredit, sembra aver dato nuovo sprint al processo aggregativo in atto nel sistema bancario italiano.

Almeno questo è quanto pensano gli operatori di mercato. Ieri mattina, dopo una chiusura debole della vigilia, il titolo Unicredit ha aperto in progresso del 3 per cento e ha viaggiato con passo spedito per tutta la giornata, fino a chiudere con un guadagno del 4,34 per cento a quota 11,836 euro. A guidare gli acquisti, la convinzione diffusa che, dopo le elezioni toscane, sia più vicina l’acquisizione da parte di Unicredit del Monte dei Paschi di Siena. A mettere legna nel fuoco alcuni report che hanno alzato il target price di Unicredit, oltre alla recente decisione da parte dell’amministratore delegato Andrea Orcel di anticipare al 27 ottobre il consiglio di amministrazione che analizzerà i dati della trimestrale al 30 settembre e una dichiarazione di Marina Natale, amministratrice delegata di Amco, società controllata dal Mef, in audizione alla Camera: «Su Mps – ha detto Natale – abbiamo un ruolo ben preciso: siamo partecipi di una transazione che ci vede agire come facilitatore di un derisking dell’operazione».

La galoppata di Unicredit ha dato motivi di ottimismo a tutto il comparto bancario, che ha trascinato l’indice Ftse Mib fino al +1,95 per cento, anche in forza del ridotto spread tra Btp e Bund tedeschi. Hanno così chiuso in terreno positivo anche Intesa Sanpaolo (+3,37 per cento a 2,503) che peraltro non appare coinvolta nel prossimo riassetto del sistema e tutte le potenziali attrici della ricerca di un nuovo equilibrio: ha guadagnato Mps (+2,62 per cento a 1,11 euro), come Bper (+3,52 per cento a 2,032 euro). Più di tutti ha corso Banco Bpm (+5,62 per cento a 2,82 euro), il cui amministratore delegato, Giuseppe Castagna, in mattinata ha ribadito la sua posizione, favorevole alla creazione di un terzo grande polo bancario nazionale, al fianco dei due che oggi fanno capo a Intesa e a Unicredit.

Superato l’ostacolo delle elezioni a Siena, il governo che, con il ministero dell’Economia controlla il 64 per cento del capitale di Mps, dovrebbe avere mani più libere per arrivare a un accordo di cessione. Unicredit punta a farlo rapidamente: il 31 dicembre scade l’opzione per beneficiare degli oltre 2 miliardi di euro di Deferred tax assets (Dta), il vantaggio fiscale che rende appetibile l’acquisizione del Monte da parte di Unicredit. Nessuno a questo punto vuole perdere l’occasione ed è per questo che tutti guardano con interesse alla riunione del cda del 27 ottobre.

 

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Banche, il voto avvicina le nozze Unicredit-Mps Orcel vuole la maxi-dote

di Andrea Greco

MILANO — Dalle urne è uscito un quadro politico benigno per i negoziatori del Tesoro, intenti a indurre Unicredit a comprare Mps.
Il segretario del Pd, Enrico Letta, ha vinto il seggio della Camera a Siena, battendo lo sfidante del centrodestra; e ovunque M5s, Lega e Fdi, i maggiori detrattori dell’accordo che a luglio diede 40 giorni a Unicredit per analizzare lo stato della banca senese hanno perso voti e posizioni. Quella perizia sugli attivi si è conclusa, e superato lo scoglio politico si profila un ottobre in cui incardinare l’operazione, a valle dei colloqui del Mef con l’Antitrust Ue i compratori. Non tutto è scritto, anche perché l’operazione è tecnicamente complessa: ma la strada è in discesa, e più fonti vedono un annuncio a inizio novembre, in tempo per cogliere 2,3 miliardi di euro netti di incentivi fiscali e perché l’ad Andrea Orcel presenti il piano strategico di Unicredit al mercato e all’interno. Il banchiere romano da giorni ha inoltrato al Tesoro le condizioni e da quelle non deflette, anche perché non ci sono alternative (dal 10 settembre la negoziazione esclusiva è scaduta, ma nessun altro candidato si è affacciato). La sua posizione di forza fa supporre che il Mef dovrà scucire una “dote” miliardaria: l’ufficio studi di Bestinver la stimava in 5,7 miliardi tra incentivi fiscali (2,3), riserve su crediti (0,7), scivoli ai lavoratori (1,4), rischi legali (1,9), e il miliardo per sciogliere la bancassurance con Axa. Il Tesoro spera di cavarsela con meno: dipenderà dalla benevolenza di Bruxelles.
I nodi da sciogliere, è noto, sono tre. Primo, gli esuberi. Su 21 mila dipendenti Mps i sindacati stimano ne usciranno fino a 7 mila, su base volontaria e pagati da un fondo esuberi fino a sette anni. Sul tema il Pd e Letta chiedono da settimane di minimizzare l’impatto sui lavoratori e sulla città-banca, che andrà riconvertita. In assenza di altri compratori però, e avendo Mps un deficit patrimoniale sui 2,5 miliardi, l’eventuale ricapitalizzazione “precauzionale” del Tesoro azionista, nel quadro degli aiuti di Stato europei, implicherebbe il licenziamento secco dei lavoratori. Il secondo nodo sono i rischi legali passati. Mps ne ha per 6,2 miliardi, e lavora a evitare la “responsabilità in solido” – prevista dal Codice civile – per cui chi compra attivi Mps potrebbe rispondere delle vecchie cause. Il Tesoro prepara una manleva, ma prima di essa Mps potrebbe chiudere due o tre singole transazioni per ridurre il contenzioso totale. Il terzo nodo riguarda la struttura dell’accordo, e il connesso aumento di capitale, stimato tra 1,5 e 2,5 miliardi, preliminare alla vendita. A quel che si apprende il dialogo con l’Ue verte su uno schema triplice, per cui Unicredit rilevi 50-60 miliardi di attivi Mps e un migliaio di filiali, Amco compri una dozzina di miliardi di crediti deteriorati («Siamo facilitatori a supporto del successo della transazione», ha detto in Commissione finanze alla Camera l’ad Marina Natale), e Mcc un centinaio di filiali Mps nel Sud.
In Borsa Unicredit è salita ai massimi 2021 (+4,34%), e Mps ha pr eso il 2,62%. Chi compra ha letto le stime propizie sul terzo trimestre di Unicredit, che nell’anno supererà i 3 miliardi di utile.

 

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Possibile annuncio a fine ottobre. Letta: pronti a bloccare l’accordo se non ci sono garanzie su lavoro, marchio e direzione
Unicredit-Mps più vicine dopo il voto Bpm rilancia: ora serve il terzo polo
gianluca paolucci
Unicredit +4,3%, Banco Bpm +5,6%, Mps +2,62%. Accantonata la parentesi elettorale, la Borsa torna a scommettere – pesante – sul risiko bancario.
Il tema più scontato è ovviamente Unicredit-Montepaschi. Ieri, terminati i conteggi dei voti amministrativi e superata la prova del collegio senese da parte del segretario Pd Enrico Letta, sono ripresi gli incontri per cercare un accordo con Unicredit che consenta al Tesoro di dismettere la partecipazione in Monte dei Paschi. A fissare i punti di una possibile intesa è stato, nei giorni scorsi, lo stesso Letta. Venerdì scorso, in una intervista a La Nazione, il segretario Pd ha annunciato che il suo partito è pronto a bloccare qualunque accordo per Mps «già in Consiglio dei ministri», senza arrivare in Parlamento, qualora non vengano soddisfatte quattro condizioni: «garanzie sull’occupazione, unità dell’azienda e mantenimento del marchio, mantenimento di una direzione generale a Siena, presenza dello Stato nell’azionariato». Se il primo e l’ultimo punto non presentano particolari problemi – c’è già un accordo di massima sul rifinanziamento del fondo esuberi dei bancari anche se ancora non sono chiari i numeri delle uscite e se in questi possono essere compresi anche quelli di piazza Gae Aulenti-, unità aziendale e marchio e direzione generale sembrano ben più problematici. Possibile, nell’ambito della trattativa, il mantenimento di una direzione territoriale di Unicredit a Rocca Salimbeni. Più complesso il ragionamento sul marchio, che potrebbe essere mantenuto «a tempo» sul modello della fusione Bpm-Banco Popolare ma anche questa ipotesi deve passare il vaglio dei regolatori europei. Sulla «unità aziendale», premesso che andrebbe chiarito cosa può significare, al momento nessuno scommetterebbe un euro. Unicredit ha chiarito a più riprese di essere interessato solo a una parte degli asset: sostanzialmente la rete nelle aree geografiche più profittevoli. Circa 1100 sportelli in totale e 50 miliardi di attivi su 85. Fuori dal perimetro restano il leasing, il factoring, Mps Capital Services e Mps Fiduciaria, per una parte dei quali potrebbe intervenire Mcc. Oltre ai rischi legai e agli npl su cui è a lavoro Amco.
L’attesa del mercato è per la prossima trimestrale, che Unicredit ha anticipato al 27 ottobre. Dalla call pre-trimestrale con gli analisti da cui, spiega Kepler Cheuvreux, sono arrivati «messaggi positivi in termini di commissioni e accantonamenti» tanto che «questo potrebbe suggerire» un ulteriore «miglioramento» della guidance per l’anno. Per cui Equita alza le stime e vede l’utile dell’anno a 3,3 miliardi di euro. Proprio in quella data potrebbe essere annunciato l’accordo per Mps, è la scommessa del mercato, con le prossime due settimane che saranno cruciali per risolvere i punti ancora in sospeso nel complesso negoziato. Compresi quelli riepilogati da Letta.
L’attesa è anche per il piano industriale di Andrea Orcel che era previsto per novembre.
Se la pausa imposta dalla politica ha pesato soprattutto per la partita Unicredit-Mps, a spingere gli acquisti su Bpm sono state ieri le parole del numero uno Giuseppe Castagna. «Credo che ora serva almeno un’altra grande banca rispetto alle due grandi italiane presenti», ha detto Castagna, riaccendendo le voci su una possibile aggregazione in vista per l’istituto di piazza Meda. Voci che peraltro lo stesso Castagna aveva spento solo poche settimane fa. Le uniche certezza arrivano per ora dalla Borsa: ieri la scommessa sul risiko bancario ha spinto il Ftse Mib in rialzo dell’1,95%.
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