Mps contro l’ex ad Viola La banca chiede indietro parte dello stipendio

di Andrea Greco
MILANO — Colpo di scena sui contenziosi del Montepaschi. La banca senese, con delibera unanime del cda presa a inizio ottobre, avrebbe deciso di chiedere indietro 725 mila euro a Fabrizio Viola, suo amministratore delegato dal 2012 al 2016.
La richiesta, che pare sia in procinto di essere inviata al banchiere già a capo di Bpm, Bper e PopVicenza, riguarda il pagamento differito dell’indennità di uscita ( severance ), a lui pagata in cinque tranche annuali da quando lasciò. Il contratto in vigore prevedeva clausole di claw back , una rivalsa volta ad adeguare la parte variabile dei compensi dirigenziali in certe circostanze.
Qui la circostanza è la condanna a sei anni di reclusione, pur se in primo grado, comminata a Viola dal tribunale di Milano, a metà ottobre 2020, per false comunicazioni sociali e manipolazione informativa. Identica condanna fu formulata per l’ex presidente di Mps, Alessandro Profumo – oggi ad di Leonardo –, mentre tre anni e mezzo prese l’ex presidente del collegio sindacale Paolo Salvadori. Non risultano però richieste di rivalsa per i due coimputati di Viola, perché non essendo mai stati dipendenti della banca non hanno ricevuto indennità variabili, solo i compensi da presidenti.
L’accusa, accolta dai giudici contrariamente alla richiesta di assoluzione dei pm milanesi, era di aver contabilizzato male, dal 2012 alla semestrale 2015, i 5 miliardi di euro di derivati dei veicoli Alexandria e Santorini, contratti dalla vecchia gestione di Mussari e Vigni per occultare perdite nei conti Mps, e tenuti in bilancio come fossero titoli del Tesoro. Un profilo di rischio ben più alto, per una scelta contabile che comunque sia Banca d’Italia che Consob per anni accreditarono.
La decisione presa dal cda tre settimane fa su Viola è inedita in Italia, e ribalta la linea garantista che la banca ha tenuto per 8 anni. A quanto filtra, sarebbe ispirata alla logica dell’atto dovuto, proposta da consulenti esterni e accolta dall’attualead Guido Bastianini – in sella dal maggio 2020 e già fautore di azioni di rivalsa sugli ex manager –, nel solco delle richieste dei M5S che molto si spesero per la sua nomina.
La sentenza di un anno fa è stata appellata proprio dalla stessa banca, responsabile amministrativo ai sensi della legge 231. L’appello è calendarizzato a inizio 2022, e durerà almeno un anno: tra l’altro la sentenza bis potrebbe essere più mite, dopo che tre mesi fa Mps ha vinto una causa contro il fondo anglosassone Alken, che aveva perso soldi con le azioni senesi e chiedeva 430 milioni di danni a Viola e ad altri ex amministratori per il caso derivati. Ma il tribunale civile a luglio non ravvisò fattispecie di danno a carico dei convenuti. Non ci sarà tempo, però, per una revisione della sentenza prima della prossima assemblea Mps, in agenda nella primavera 2022.
In quella occasione gli azionisti di ciò che rimarrà della banca se Unicredit ne avrà comprato i tre quarti migliori potrebbero avere più argomenti per votare l’azione di responsabilità contro Viola (e magari anche Profumo e Salvadori, coinvolti nella stessa sentenza). Finora per sette volte l’azione di responsabilità, quasi sempre inoltrata dal socio critico Giuseppe Bivona, è stata respinta, e con larghissime maggioranze sempre guidate dal Tesoro azionista, difensore della continuità garantista e che ha fatto e disfatto tutti i vertici del Monte fin dal 2015.
La nuova linea non sarebbe stata digerita dal capo dell’ufficio legale di Mps, Riccardo Quagliana, da anni coerente con le posizioni del Mef e che ora starebbe trattando l’uscita. La rivalsa di Mps sugli amministratori del periodo 2012-2016, cui fa capo un’ampia fetta del contenzioso Mps (6,2 miliardi totali), potrebbe come effetto collaterale aumentare le spese a carico del Mef per manlevare Unicredit, che è alle trattative finali per rilevare una parte di attivi e sportelli Mps, da ogni rischio legale. La legge di bilancio, tra l’altro, ha rinnovato per sei mesi, al giugno 2022, la norma che nelle fusioni trasforma in crediti le attività fiscali differite: se Unicredit dirà sì alle nozze Mps avrà una dote da 2,3 miliardi di capitale.
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