Montepaschi-Unicredit, servono 7 miliardi nozze in salita e i bond di Siena affondano

la trattativa rischia di allungarsi. l’istituto vuole chiudere il 27 ottobre ma non c’è accordo sulle risorse da iniettare
francesco spini
milano
Più la sua soluzione sembra a portata di mano, più tutto all’improvviso si complica. Il rebus Unicredit-Montepaschi è tutt’altro che risolto. «La trattativa sarà ancora relativamente lunga», commenta a sera una fonte che conosce bene la situazione. È un matrimonio sofferto, quello sull’asse Milano-Siena, in cui le parti faticano a trovare un accordo. Più voci parlano di vicolo cieco, e forse esagerano. Ma alla fine anche il compassato Financial Times parla di «impasse» per il dossier. Una mazzata per i titoli obbligazionari subordinati che in Borsa perdono tra gli 11 e i 12 punti percentuali.
Nel corso di tutta la giornata ricorre un giallo, in particolare: quello secondo cui il governo avrebbe sondato Bruxelles per negoziare una proroga di sei mesi per la privatizzazione che il Tesoro deve altrimenti portare a termine entro la primavera. Sulla eventuale richiesta, però, ci sarebbe stato quantomeno un ripensamento. Fonti del ministero dell’Economia escludono a più agenzie di stampa la circostanza. Anzi: la trattativa con Unicredit sarebbe «alle battute conclusive» anche se i paletti fissati dal ministro Daniele Franco all’inizio di agosto in audizione in Parlamento «sono sempre quelli». In estate il titolare dell’Economia aveva rassicurato che la banca più antica del mondo non sarebbe stata svenduta.
Chiaro che tra le due parti al tavolo – tra il Mef che deve vendere il suo 64,23% e Andrea Orcel, l’ad di Unicredit, unica promessa sposa del Monte che abbia accettato il fidanzamento – è Roma ad avere tutto da perdere. Per questo Unicredit non appare intenzionata a tirare ancora troppo a lungo le trattative, ma punta a chiudere entro il 27 ottobre, giorno del cda dei conti dei 9 mesi o per lo meno non troppo distante da quella data. Il governo, secondo altre fonti, punterebbe a chiudere entro l’anno, quando invece da principio Unicredit avrebbe voluto liquidare la questione già per fine settembre. C’erano le elezioni e tutto s’è congelato. Adesso sono passate. Nel frattempo però il Tesoro starebbe ponendo questioni difficilmente compatibili con i paletti che Orcel, a luglio, aveva pre-condiviso con il Tesoro, come la neutralità dell’operazione in termini di capitale, l’accrescimento «significativo» dell’utile per azione con le sinergie nette. E ovviamente: niente contenziosi straordinari, niente crediti deteriorati. E invece non ci sarebbe ancora piena condivisione nemmeno dopo il «no» della banca ad assorbire la direzione generale. Scoglio ancora più grosso, le risorse che lo Stato dovrebbe iniettare nel Monte dei Paschi affinché la banca non gravi sull’istituto guidato da Orcel.
Il Tesoro mesi fa parlava di un aumento da 2,5-3 miliardi al massimo, ora sarebbe pronto a d arrivare fino a 5. Unicredit, a quanto risulta, dopo la due diligence riterrebbe che per sorreggere la banca servirebbe una iniezione maggiore, superiore ai 7 miliardi, secondo alcune fonti. 3 miliardi basterebbero infatti solo per riportare il capitale di miglior qualità (Cet1) a livelli consoni. Lo scivolo pluriennae per 7 mila esuberi costerebbe fino a 3,5 miliardi. Altre coperture, come quella dei crediti in bonis a rischio di deterioramento, potrebbero completare il quadro. Siamo al muro contro muro tra chi rivendica i paletti concordati a luglio e chi, il governo, quanto promesso in Parlamento. Nulla è naufragato, nulla è scontato. Ma non bisogna dimenticare che le grandi trattative, un minuto prima di andare a segno, spesso sembrano sul punto di fallire.
https://www.lastampa.it/