Monni (inedito) in fabbrica

Cinema Il 7 gennaio all’Odeon si rivedrà l’attore nei panni di un operaio in «Metallo umano». Un film voluto da Gianfranco Pampaloni per raccontare quattro generazioni di argentieri

 

Interpretare un operaio, per lui che prima di fare l’attore aveva davvero lavorato in un’industria, è venuto naturale. Aggiungere il suo tocco inconfondibile per dare personalità al personaggio, per lui che era un grande caratterista, lo è stato altrettanto. È il Carlo Monni più autentico (e inedito) quello che si vede in Metallo Umano , il film voluto dall’argentiere Gianfranco Pampaloni per la regia di Vanna Paoli e Costantino Viti e che verrà presentato in anteprima il 7 gennaio (ore 20) all’Odeon di Firenze dal grande regista britannico Peter Greenaway.

Il film è un album di ricordi che raccoglie «episodi straordinari di vite normali»: quelle degli operai, di una famiglia di quattro generazioni di argentieri, di committenti stravaganti che si intrecciano all’interno della fabbrica Pampaloni, fondata a Firenze nel 1902 dal nonno di Gianfranco, Ermindo. In scena si trovano attori che fanno gli operai e operai che fanno gli attori, ed è difficile distinguerli. In più ci sono interpreti che oggi non ci sono più: Carlo Monni che dà il volto a Edo, il tornitore comunista che in nome del lavoro suo malgrado mette la propria arte a disposizione della Chiesa, e il mago Baku, che rappresenta il fondatore dell’azienda, e che ha alternato i tempi della recitazione a quelli della sua reale e intensa vita tra fonderia e palco, talamo e bicicletta. «Volevo festeggiare il centenario dell’azienda e invece di fare un libro ho pensato di fare un film, riflettendo su quello che ha fatto mio nonno: se mi avesse lasciato un film, anche muto, gliene sarei stato grato, mi avrebbe lasciato un documento di straordinaria pregnanza e vivacità», racconta l’argentiere. Pampaloni non ha voluto fare un tradizionale documentario sulle lavorazioni artigianali, ma prendendo ispirazione dalla vita dell’orafo e scultore Benvenuto Cellini ha raccolto in un collage tutte le storie incredibili che si sono svolte tra le mura della fabbrica di famiglia, raccontate dal protagonista, Sergio Bustric, alla giovane Teodora Pampaloni. Il film dura un’ora, sessanta minuti di girato in tre epoche diverse (1961, 2004 e 2014): le riprese sono state fatte proprio all’interno dei laboratori e sono durate quindici anni. «Sono tanti, ma sono coerenti con la vita reale di una fabbrica. È questa stagionatura che rende interessante questo racconto della fabbrica, anche sentimentalmente, con due interpreti a noi cari che purtroppo non ci sono più» afferma Pampaloni ricordando gli amici Monni e Baku. «Carlo Monni è stato un interprete straordinario, nessuno quanto lui poteva rappresentare la cultura contadina che ha generato i più grandi artisti fiorentini, quella campagna che viene in città e che alla città ha dato tanto» racconta ancora l’argentiere. Ricorda Monni che arrivava sul set in fabbrica, leggeva la sceneggiatura calandosi perfettamente nei panni del lavoratore, senza dover inventare pose, e quando iniziava a girare la scena recitava con naturalezza, improvvisando e regalando uscite ironiche e battute sferzanti. La storia principale è quella di un operaio, considerato un patriota fascista, anche se era partito per il fronte in Africa non tanto per fare la guerra quanto per cercare un’opportunità di vita: «Aveva perso la moglie e veniva a lavorare accompagnato dall’amante, che lo aspettava in macchina, una vecchia 500, per tutto il giorno, estate e inverno. E questo per sette anni fino all’Alluvione. Pranzavano insieme in auto e si lasciavano andare ad effusioni che facevano scandalo». Intorno a questa ruotano altre vite curiose: un prete operaio, suore che portano in laboratorio i preziosi pezzi del loro convento da fondere, e persino maghi. Fa una comparsa di pochi secondi anche lo stesso Gianfranco. Il film racconta anche come è cambiato il mondo dell’argenteria. «Oggi sono i capricci, le committenze curiose a salvarci. Una volta l’argenteria era uno status simbolo da mostrare, oggi invece questo è bandito, non si fanno più le zuccheriere della zia, sopravvivono gli argenti per i momenti celebrativi importanti, i regali dedicati, i premi sportivi: abbiamo fatto calici, tavoli, barche e aerei d’argento». Pampaloni ha creato un calice donato dalla comunità ebraica di Roma a Papa Francesco, oggetti per il Quirinale, i regali per la Notte degli Oscar. A presentare il film sarà Peter Greenaway. «Con lui abbiamo avviato una collaborazione per la creazione di una linea di oggetti. In più è da sempre il regista preferito della mia famiglia».

 

Fonte: Corriere Fiorentino, https://corrierefiorentino.corriere.it/