“Mesi senza nuove diagnosi E adesso i malati di tumore arrivano da noi già gravi”

Parla Spaggiari, che guida la Chirurgia toracica allo Ieo
«Hanno bloccato le visite e quindi le diagnosi. Si iniziano già a vedere pazienti con tumori avanzati, come non capitava da tempo». Lorenzo Spaggiari dirige la chirurgia toracica allo Ieo, l’Istituto europeo di oncologia di Milano. Ha vissuto con frustrazione l’arrivo del coronavirus, perché è stato costretto a ridurre l’attività per i malati di cancro. Lui e la moglie, anche lei medico, sono stati pure contagiati. «All’inizio ci dicevano di visitare senza mascherina per non spaventare i pazienti. Ma mi è andata meglio che a certi colleghi, io ho avuto pochi sintomi». Spaggiari spera che l’esperienza insegni a creare percorsi differenziati per i malati per non dover più interrompere certe attività sanitarie se nei prossimi mesi il coronavirus ritornasse.
Buona parte dell’attività chirurgica si è bloccata. In oncologia cosa è successo?
«Quando mi sono ammalato, ho scritto al presidente della nostra società scientifica chiedendogli di non far chiudere gli ambulatori. Il paziente oncologico è una priorità su qualunque altro problema. Di cancro si muore, di coronavirus si può morire, ma si possono anche prendere delle precauzioni, usare protezioni. A chi ha il cancro, indossare la mascherina non serve a nulla. E invece è stata presa una decisione folle».
Quale?
«Si è chiesto di assicurare solo le visite urgenti. E così hanno chiuso i nostri ambulatori al resto dei pazienti».
Che effetti ha avuto questa decisione?
«Ha fatto rimanere fuori le nuove diagnosi. Quelle di chi ha un po’ di tosse, si fa la lastra e poi viene da noi a far vedere una macchiolina che ha bisogno di essere approfondita. Ci sono persone che hanno dovuto aspettare due o tre mesi per essere visitate e portate all’intervento. Ma un tumore al polmone in due mesi va in progressione, può passare allo stadio intermedio e la probabilità di sopravvivenza del paziente cala in modo drammatico. Mi chiedo ancora come mai abbiamo chiuso gli ambulatori».
Però avete comunque operato.
«Certo. Ma appunto: solo chi veniva definito urgente oppure era stato messo in lista d’attesa da prima del lockdown. Ma chi è che decide quando un cancro del polmone rientra in questa categoria? Una lesione piccola non è urgente? Noi siamo un centro oncologico, e dopo il blocco delle sale operatorie degli ospedali pubblici hanno mandato qua i pazienti di Niguarda, dal San Raffaele e da altri ospedali. Li abbiamo operati, con équipe miste».
E nuovi pazienti ne avete avuti?
«Pochi. Io ad aprile ho smesso di operare, proprio perché, avendo bloccato le visite, non c’erano nuove diagnosi. Stiamo piano piano riprendendo, ma purtroppo si è creata una situazione tale per cui il paziente, di una certa età e magari con varie patologie, non esce neppure di casa. Non va a fare la lastra se ha dei sintomi. C’è stato tanto allarmismo, giusto da un certo punto di vista, ma con effetti pericolosi per il malato oncologico.
Il nostro reparto faceva 25 interventi a settimana ed è arrivato ad appena 7-8. Del resto si sono bloccati anche tutti gli arrivi dal Sud, che da noi erano tanti. E ora mi chiedo: dove sono andate a curarsi queste persone?».
Cosa si aspetta che accada nei prossimi mesi?
«Già si vedono pazienti con un tumore avanzato, di quelli che non curavamo più da tanto tempo, grazie alle diagnosi diventate più precoci. E con il tempo il loro numero crescerà. Non sono io il primo a dirlo, abbiamo anche pubblicato articolo scientifici su questo problema. Queste sono le morti collaterali del coronavirus. In futuro pensiamoci: ci sono malattie che non possono aspettare, ci vogliono percorsi differenziati, l’ospedale che si occupa di cancro non deve chiudere mai l’accettazione del malato».
Come si fa a recuperare il tempo perduto?
«Purtroppo quello non si recupera.
Il cancro non aspetta. Però ora bisogna dire ai nuovi pazienti di non avere paura, di lavarsi le mani, mettersi la mascherina e venire a farsi visitare. Non lo dico per dare la colpa a qualcuno, perché il più bravo in questa situazione è chi ha sbagliato di meno, ma chiudere gli ambulatori oncologici per l’avanzare della malattia virale è stata la scelta peggiore che si potesse fare».
— mi.bo.
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