MANOVRA SENZA UN’IDEA DI FUTURO

Massimo Giannini
Il 31 dicembre 1998 nasceva l’euro. E per i soliti scherzi della Storia, nello stesso giorno in cui a Bruxelles undici Paesi formalizzarono solennemente la nascita della moneta unica, in Italia taglia ingloriosamente il traguardo la legge di bilancio più euro-isterica degli ultimi vent’anni. L’unione monetaria, con tutti i suoi limiti, fu comunque una risposta eccezionale e “antistorica” a un secolo di dittature, di guerre e di miseria (come ha detto Mario Draghi parafrasando Robert Kagan, nel suo straordinario discorso alla Scuola Sant’Anna di Pisa di due settimane fa). Questa “manovra del popolo”, con tutti i suoi pasticci, è al contrario una risposta dissennata e “pro-ciclica” alle nuove emergenze della fase.
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La Commissione Ue l’ha accettata, previe le mediazioni di Conte e le correzioni di Tria. I mercati l’hanno digerita, in attesa di capire se i numeri del deficit e della crescita, riscritti comunque sull’acqua, reggeranno alla prova dei fatti. Ma per quanto riveduta e corretta, questa rimane una “manovra senza qualità”. Non che le precedenti ne avessero. Ma ai rituali errori del passato, ora se ne aggiungono di nuovi. Il “governo del cambiamento” è nato per aprire il Parlamento come una scatoletta di tonno e per rivoltare l’Italia come un calzino. Per ora trattano le Camere come uno studio notarile, e lasciano il Paese con tutti i suoi guai. E se li critichi, evocano il terrorismo. Forse, tra un affaccio al balcone e un pane e nutella, pensano che Bella ciao sia l’inno delle Br.
Gli errori del passato li ripetono in blocco. Avevano accusato Berlusconi per le norme salva- ladri, e varano nove condoni in un colpo solo ( dai contributi al ” saldo e stralcio”). Avevano bastonato Monti per il blocco dell’indicizzazione delle pensioni, e le ribloccano a loro volta per tre anni (tagliando gli assegni di 2,2 miliardi). Avevano processato Letta per le clausole di salvaguardia Iva, e ne reintroducono altre due da 23 miliardi nel 2020 e da 28 nel 2021. Avevano giubilato Renzi per i suoi bonus a pioggia, e ora li rinnovano tutti (dalle ristrutturazioni edilizie ai bebè). Se i riformisti alle vongole sbagliavano, i sovranisti alla vaccinara perseverano. Alla faccia del cambiamento.
Ma ai vizi antichi ci aggiungono quelli moderni. La vergognosa tassa sul Terzo settore non meriterebbe menzione (se la sono già quasi rimangiata). Se non fosse che, orfana di padre, ha tuttavia trovato la solita madre. Laura Castelli, la kamikaze più creativa, che ci ha regalato il suo botto di Capodanno: « Non colpiamo il volontariato, lo tassiamo quando fa profitti… » . Lieve dissonanza cognitiva, visto che l’attività in questione si chiama, per l’appunto, non-profit. Ma siamo pur sempre nella mirabolante stagione dell’incompetenza, dove qualunque novella cuoca di Lenin può fare il ministro, e dunque va bene così. Il grave della manovra sta altrove. Le varie voci di bilancio sono appostate alla rinfusa con un unico scopo: salvare le due misure-feticcio dei gialloverdi. Ma nonostante gli sforzi dell’artefice magico Casalino, il trucchetto contabile del disavanzo ridotto dal 2,4 al 2,04% può confondere i gonzi, non gli italiani dotati di normale intelletto. Quello 0,4% equivale a un taglio di spesa di 10 miliardi, e quel taglio applicato a reddito di cittadinanza e ” quota 100″ riduce le due ” rivoluzioni storiche” a simulacri sbiaditi.
La dote del reddito di cittadinanza si riduce a 6 miliardi, sottratta la quota per la riforma dei centri per l’impiego. Meglio di niente, per 5 milioni di poveri. Ma quanti intascheranno davvero i 780 euro, visto che lo stanziamento originario in campagna elettorale ammontava a 17 miliardi? O mentivano allora, o mentono adesso. E poi quanti troveranno davvero un lavoro in due anni, assistiti da un addetto ogni 700 sussidiati? Più che il Navigator di Di Maio, servirebbe il Terminator di Schwarzenegger. La dote di “quota 100” scende a 4 miliardi. Non bastano, per i 315 mila pensionandi previsti nel 2019. Non a caso il governo ha seminato di paletti il percorso di chi sogna di andarsene con 62 anni di età e 38 di contributi: assegno ridotto, divieto di cumulo, finestre mobili. Più che il Bengodi post-Fornero, un mezzo Vietnam previdenziale.
Questo è il paradosso: abbiamo appena votato alle politiche il 4 marzo, e questa manovra elettorale incorpora già un nuovo voto di scambio per le europee di maggio. Con un’altra recessione alle porte, la pressione fiscale aumenta al 42,4%, gli investimenti vengono abbattuti di 1,4 miliardi, i fondi per la scuola ridotti di 4 miliardi: il taglia e cuci più odioso e dannoso, pur di trovare almeno poche risorse per le due leggi-bandiera, che Lega e M5S devono issare nei prossimi sei mesi al vento dei rispettivi elettorati. Per il resto non c’è niente per la crescita e la produttività, niente per il lavoro e i giovani. Non c’è un’idea di società, perché il “contratto” incolla con il vinavil dell’anti-politica populista due piattaforme pensate per due Italie diverse e forse inconciliabili. Non c’è un’idea di futuro, perché a questi nazionalisti donchisciotteschi il futuro non interessa. Sperano solo che dalle urne di primavera tracimi la marea nera anti- europea, e per questo hanno costruito una legge di bilancio come una scatola semi-vuota nel 2019, ma che diventa una bomba atomica nel 2020.
Inopinatamente, Conte festeggia « l’ora del riscatto ». Di Maio si dichiara «orgoglioso». Salvini si attribuisce «un bel 7». L’unica verità, durante la battaglia parlamentare di questa ignobile fine d’anno, l’ha detta il senatore Gregorio De Falco, che oggi dà la sveglia al bugiardo pentastellato come all’epoca la suonò al codardo Schettino: «Ora piangiamo noi, presto lo faranno gli italiani». Saliamo a bordo, prima che il Paese si ripieghi su se stesso come la Concordia.
Fonte: La Repubblica, https://www.repubblica.it/