Ritrovati postumi con modalità ” manzoniane”, i testi narrativi di Shirley Jackson sono un mix tra scenari casalinghi, massicce dosi di perfidia e atmosfere eccentriche. Leggere queste 54 short stories per credere
di Mariarosa Mancuso
Uno scatolone di carte e ragnatele in un fienile del Vermont. No, non è la solita finta del manoscritto ritrovato. Non è il trucchetto che da Cervantes in poi, passando per Alessandro Manzoni, aggiunge fascino a storie di cui lo scrittore, per vezzo, si finge soltanto scopritore. Vale anche per i libri, e non da ieri, un dilemma nannimorettiano: mi piazzo sotto i riflettori dichiarandomi autore, o scelgo la luce riflessa?
Qui lo scatolone c’era davvero. Fu recapitato per posta senza mittente ( o lasciato sullo zerbino di casa, i dettagli ogni volta cambiano) a Laurence e Sarah, figli di Shirley Jackson: da bambini la sentivano battere a macchina tutto il giorno, tranne quando sfornava i biscotti al cioccolato. Dentro, c’era il manoscritto originale di L’incubo di Hill House: il romanzo, sempre Adelphi, che ripropone in versione novecentesca, con la partecipazione straordinaria di qualche scettico, la casa stregata di Edgar Allan Poe ( non badate alla serie tv, ruba il titolo e il nome della scrittrice, poi va per la sua strada). E c’erano racconti mai pubblicati. Altri uscirono dalle casse conservate alla Library of Congress.
Facendo tesoro del prezioso materiale, i rampolli Jackson riunirono in Paranoia qualche racconto di paura e incantevoli cronachette casalinghe. Ora arriva quest’altra raccolta, La luna di miele di Mrs. Smith:
54 racconti finora inediti. I retroscena servono per non attribuire a Shirley Jackson colpe non sue. Una scrittrice che sapeva calcolare al millimetro i suoi effetti, orrorifici e comici, non avrebbe gradito vedere pubblicato un suo racconto in due versioni, una decisamente migliore dell’altra. Gli sguardi sulle varianti sono roba da filologi, ai lettori rovinano il divertimento.
Le storie qui riunite sono disuguali per ambienti e atmosfere, e l’ordine di apparizione non aiuta. Una vicenda di castelli, figli illegittimi, impiccagioni, stregoneria, diavoli e vendette sta accanto al capolavoro di perfidia intitolato Che pensiero. Dimenticheremo la prima, chiuso il libro. Non la seconda, con Margaret che « osservava il marito mentre digeriva » . Ricacciando indietro pensieri omicidi: « Il cordone delle tende le fece pensare: strangolalo»; «Affogalo, le suggerì la boccia del pesce rosso» (resterà fedele alla prima idea: usare il posacenere di vetro per fracassargli la testa).
Un’altra apparizione diabolica – a una ragazza con macchina per scrivere, nel dormitorio delle ragazze viene annunciata da « uno schianto terrificante e una specie di sfrigolìo » . Un po’ di fumo resta, il giovanotto ha le sue attrattive: «Le corna si notavano appena e un paio di scarpe di vernice a punta gli nascondevano gli zoccoli fessi » . Non è altrettanto forte in materie legali, capitolo “cessione dell’anima”.
La casalinga del Vermont con gli occhiali a farfalla non ha mai una frase goffa o inutile. La fa rivivere una somigliantissima Elizabeth Moss nel film Shirley: la regista Josephine Decker lavora di fantasia sulla vita della scrittrice, raccontata come un incubo. La vera Shirley Jackson non sbaglia una trama o un personaggio, qui regala una galleria di ragazzini combinaguai, con un sospetto di autobiografia: «Credo che tutte le madri di dodicenni vivano nella spiacevole convinzione che i propri figli conducano una vita criminale segreta».
La luna di miele di Mrs. Smith è una raccolta per chi ha già divorato i romanzi di Shirley Jackson. Non vuole perdersi neppure una briciola del suo talento, ed è disposto a seguirla nei suoi alti e bassi anche quando non provoca terrori. Fantastiche sono le paginette che raccontano la sua vocazione da scrittrice, in partenza una lettrice sedicenne insoddisfatta: « Dal momento che non esisteva al mondo nessun libro che valeva la pena di leggere, ne avrei scritto uno io».
La giovane Shirley sceglie il giallo. Con una punta di sperimentalismo mette tutti i nomi dei personaggi dentro un cappello, e poi tira a sorte: « Così l’assassino sarebbe stato una sorpresa anche per me». Lo legge alla famiglia distratta, e sua madre commenta: « Sei stata chiusa in camera per ore, spero tu abbia avuto tempo di rifarti il letto » . Sempre meglio di quel che capitò a Edith Wharton ragazzina: iniziò un racconto con la frase «La signora Taldeitali stava mettendo in ordine il salotto », e la madre glielo restituì schifata: «I salotti non sono mai in disordine » . In entrambi i casi, poteva essere la fine di una carriera letteraria.
Una serie di lettere illustra un furioso girotondo di affitti e subaffitti. Storie di gatti, topi (e trappole che li dovrebbero catturare), nonne, registratori a nastro comprati in città con lo sconto ( ma poi il negoziante locale si rifiuta di aggiustarli, e mette il muso), cartomanti improvvisate compongono un bel mosaico provinciale. I racconti sono tradotti da Simona Vinci, che nel volumetto Mai più sola nel bosco (Marsilio), racconta la sua passione per i fratelli Grimm e per gli spaventi, non solo letterari. Stona e un po’ offende, nella prefazione firmata dai figli Jackson, la precisazione che sono racconti d’altri tempi, «con molte sigarette fumate, caffè sempre sul fuoco, bambini sculacciati » . Chi ha scritto La lotteria, poche pagine di pura atrocità, non meritava tanto perbenismo.