Longhi e Briganti maestro e non allievo

Il primo gli dava del “tu”. L’altro, morto trent’anni fa, rispondeva con il “lei” Le lettere e un saggio raccontano il rapporto tra i due storici dell’arte
di Claudio Strinati
Il 17 dicembre 1992 Giuliano Briganti, uno dei più grandi storici e critici d’arte del ventesimo secolo (dal 1976 critico d’ arte di Repubblica ), scompariva all’improvviso nella sua casa romana di Via della Mercede, durante una bella discussione di lavoro. Era figlio di una personalità di eccezionale spicco in questo campo come Aldo Briganti, studioso, antiquario, uomo di formidabili relazioni. Così Giuliano Briganti poté da subito esercitare un magistero diretto, spontaneo, naturale che lo rese vicino ai massimi esperti dell’argomento ma senza mai dover rinunciare alla sua spiccatissima personalità. A trent’anni dalla morte escono due libri splendidi, pubblicati dalla Archinto, Giuliano Briganti, Roberto Longhi, Incontri. Corrispondenza 1939-1969 ,
ben curato da Laura Laureati, e Giuliano Briganti, Roberto Longhi , a cura di Giovanni Agosti, autorevole storico dell’arte tra i maggiori del nostro tempo.
Longhi era legato da amicizia profonda ad Aldo Briganti. Non gli fu così difficile riconoscere nel figlio Giuliano un autentico genio della disciplina, diverso da lui per formazione e carattere ma che sentì destinato ad accompagnarlo per il resto della vita in una posizione però sempre di totale autonomia reciproca, come i due libri ci raccontano con dovizia di informazioni. Longhi si rivolgerà sempre a Giuliano dandogli del “tu” e Briganti gli darà sempre del “lei”. Un maestro supremo, Longhi, per Giuliano da un lato inarrivabile da un altro forse trascurabile.
Questa stupefacente e commovente ambivalenza Briganti l’ha raccontata in un testo riportato nel volume curato da Agosti. Nel novembre del 1989 (Briganti aveva settantun anni, Longhi era scomparso ottantenne nel 1970) si teneva a Roma alla Galleria dell’Oca, gestita dalla bravissima moglie Luisa Laureati, una mostra dal titolo calviniano
Se una sera d’ autunno un artista volesse inventare un oggetto da regalare…
Giuliano pubblica nel catalogo una curiosa novella, “Le strade dell’Anatolia”, storia di un viaggiatore fantastico, dotto e stralunato cui, a un certo punto, appare una figura, affascinante e sfuggente insieme, che chiama il Maestro, mentre il narratore riferisce della vicenda come riferitagli da un suo amico. Sono Roberto Longhi e Giuliano stesso e la percezione è quella di un rapporto stretto e necessitante tra i due uomini che però sfuma nell’indistinto. Longhi, in effetti, era il Maestro ma Giuliano non era l’allievo.
Le analisi lucidissime che Briganti nel corso della sua vita conduce sul mitico Roberto Longhi, delineano di lui l’immagine di un uomo dotato di una cultura, una intelligenza, una sorta di potere medianico che ne hanno fatto uno degli storici dell’arte più importanti mai vissuti.
Ma la storia del vero rapporto tra i due, per come ci è raccontato con definitiva chiarezza nei due libri, è singolare. Briganti si laurea a Roma con Pietro Toesca ed entra presto in amicizia con Carlo Ludovico Ragghianti, due grandi della disciplina con cui Longhi avrà rapporti tormentati, specie con Ragghianti.
Ma Longhi vuole da subito Giuliano, che non è suo allievo e non è allineato con il suo metodo e il suo pensiero, come il più stretto e fido collaboratore, una sorta di Direttore Generale per un Presidente. Siamo nell’Italia che vede l’apoteosi e la catastrofe del fascismo. Longhi elabora delle vere e proprie strategie di conquista di spazi determinanti per l’esercizio della cultura storico-artistica, affermatasi all’epoca come preclara peculiarità identitaria italiana.
Ancorché il fulcro degli studi e delle ricerche si trovasse, specie negli anni Quaranta, più tra i mondi anglosassone, francese e tedesco, sulle linee tracciate dai fondatori della disciplina, come Giovanni Morelli (nato 1816, veronese di cultura svizzero-tedesca) Giovanni Battista Cavalcaselle (nato 1819, veneto ma di cultura inglese), Joseph Archer Crowe (nato 1824, londinese) e, soprattutto, Bernard Berenson, il maestro di tutti, nato 1865, lituano-americano ma insediatosi a Firenze nel 1890.
Longhi decide di rilevare quella che era la più gloriosa rivista d’arte dell’Europa intera, Emporium , nata quasi con lui, nel 1895 e modello insuperato della ricerca scientifica secondo i criteri tracciati da Adolfo Venturi (nato nel 1856) e sviluppati da Pietro Toesca (nato nel 1877) che di Briganti fu il vero maestro. Nel 1948 Longhi pensa, così, di dare la scalata a Emporium per farne la sua rivista e decide di affidare l’incarico di direzione proprio a Giuliano Briganti, lusingato ma tutt’altro che lieto della prospettiva.
Si sarebbe dovuto trasferire a Bergamo dove la rivista veniva stampata e non ne aveva voglia. Era uno spirito libero. Non voleva seccature, ma per sua fortuna la cosa non si fece e Longhi subito dopo fondò la sua rivista, Paragone , nella cui redazione Giuliano sarà componente di spicco assoluto fino al 1971.
Come Laura Laureati spiega con filologico affetto, Giuliano era e resterà un sommo narratore di momenti cruciali della storia dell’arte europea che non sono quelli frequentati dal maestro Longhi.
Interessano a Giuliano i meandri della creatività, le svolte difficili, le acquisizioni più ardue e per certi versi conturbanti. Comincia la sua carriera di eletto storico dell’arte sul Manierismo e la finisce sul Romanticismo, restando sempre e soprattutto conoscitore acutissimo della pittura e sottile indagatore dei moti del cuore.
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