Il dossier su Cantimori
Il 9 giugno 1945 fu recapitato alla delegazione per l’epurazione della Provincia di Pisa un perentorio telegramma a firma Ruggero Grieco, che, nella veste di alto commissario aggiunto dell’organismo attivo in materia sul piano nazionale, richiedeva di «rimettere rapporto informativo ordinario di Storia Scuola Normale Superiore di Pisa professore Cantimori Delio».
Grieco, noto dirigente comunista, era incaricato da pochi mesi di curare delicati dossier. E quello da aprire su Delio Cantimori (1904-1966), normalista, docente di storia nelle Università di Pisa e Firenze, autore di testi classici – basterà citare Eretici italiani del Cinquecento del 1939 e Utopisti e riformatori italiani del 1943 –, voce autorevole e appassionata nella battaglia delle idee, non era dei più facili da istruire. Cantimori era stato segnato in profondità dal focoso mazzinianesimo del padre e dalla cultura di una terra – era nato a Russi, vicino Ravenna – animata da ardore patriottico e ribellismo popolare. Per questa via approdò ad un fascismo accolto in chiave rivoluzionaria, nazionalistica, antiborghese e anticlericale, espressione di un’età caratterizzata dall’irreversibile tramonto del liberalismo e delle democrazie. Il suo distacco dal regime fu graduale: risale al 1948 la formale iscrizione al Partito comunista, dal quale uscì senza clamore nel cruciale 1956. La sua parabola intellettuale ha tratti originali: per un verso condivise le illusioni di chi vide nel solido Stato totalitario la conclusione del processo risorgimentale e per l’altro si sentì attratto da quanti assumevano posizioni radicali o eterodosse, da «eretici» in grado di innestare energie rinnovatrici in sistemi basati su ideologie dogmatiche, contrastanti coi proclamati principi fondativi.
Nel ’45, dunque, Cantimori si trovava, con Luigi Russo e Alessandro Perosa, alla guida della Normale. Eppure non lontano era il suo lungo sodalizio con Giovanni Gentile, non dimenticato lo stretto legame con personalità eminenti del regime quali Gioacchino Volpe e Giuseppe Saitta. Perché non fu toccato da una sia pur distratta e strabica epurazione? Polemiche furiose divamparono in occasione del centenario della nascita e successivamente. Un allievo tra quelli che più hanno inteso la straordinaria lezione di metodo impartita da Cantimori, Adriano Prosperi, prese le difese del maestro, mettendo in luce quanto errata fosse una narrazione semplificante, consona più ad un malevolo gossip che ad un’indagine tesa a cogliere il tormentato rapporto tra l’adesione alle politiche del sistema e l’autonomo valore delle ricerche.
Nell’esplorare passaggi ancora oscuri il tassello che ora viene alla luce non è un dettaglio secondario. Tutti potranno esaminare il rapporto informativo che l’autorità inquirente pisana spedì a Roma e la scheda personale relativa: una sorta di confessione, simile a quelle che venivano richieste a coloro che desideravano diventare gesuiti o iscriversi al Pci.
Michele Feo, insigne filologo, anche lui di scuola normalistica, ha pubblicato in una rivista pressoché clandestina (Campi immaginabili , 2017), un’illuminante documentazione, depositata all’Archivio di Stato di Pisa. Il pezzo più notevole è la copia in carta carbone dell’originale del rapporto inviato a Roma dal delegato provinciale Giuseppe Sorgi. Vi sono trascritti gli elementi essenziali della scheda, non si sa se riempita da Cantimori stesso: dai quali risulta che l’indagato si iscrisse al Partito nazionale fascista nel 1926, ma «senza prestare alcun servizio effettivo nel Gruppo universitario». «Non ha giurato – si precisa – fedeltà alla Repubblica Sociale ed è conosciuto negli ambienti pisani come uomo di antichi e coraggiosi sentimenti antifascisti». «Nel 1936 – si aggiunge – ci risulta decisamente orientato verso il comunismo della cui ideologia è attivo propagandista. Cospicua anche l’attività per la raccolta del Soccorso Rosso». Non si tralascia di segnalare articoli di politica internazionale di impronta filosovietica apparsi su Civiltà fascista , né l’ospitalità offerta, nel 1943, al latitante Eugenio Colorni. Seguono altri dettagli, che sarebbe lungo riportare. Indubbiamente si tratta di un rapporto che assembla tutte le possibili attenuanti e registra pressoché alla lettera i contenuti della scheda.
Fonte – si dirà – tendenziosa e indulgente, ma presa per buona dopo esser passata al vaglio dei rituali riscontri. Curioso è che non se ne sia rinvenuta traccia all’Archivio Centrale dello Stato. Smarrita? Fatta sparire? Finita nel fascicolo su altri docenti? E quale peso attribuirgli per un aggiornamento biografico? Anzitutto andrà acquisito il dato più banale: non è vero che Cantimori non sia stato neppure sfiorato dai processi di epurazione. Sintomatico è, poi, che l’inizio del distacco dal fascismo sia collocato al 1936, allorquando Delio sposò la bolzanina Emma Mezzomonti, lei sì combattiva e comunista. Saranno state considerate dell’uomo anche alcune coraggiose iniziative della moglie? Se la cronologia fosse autentica non sarebbe inesatto individuare un Cantimori «nicodemita», al pari di tanti umili eroi che rivivono nelle sue faticose pagine. Nicodemo — da cui il termine — fu un timoroso fariseo che si recava a visitare Gesù di notte per nascondere la sua fede. Quanto all’illusorio «nazionalbolscevismo» sembra di coglierne qualche non incidentale riflesso.
Delio Cantimori prese atto con amarezza che le caldeggiate utopie erano fallite. Il fascismo non aveva dato luogo alla rivoluzione anticapitalistica sognata da ragazzo, né il comunismo reale aveva avviato l’edificazione di una società di liberi e eguali. In un contratto appunto del 28 marzo 1956 il grande storico non esitò a elencare i suoi sbagli. Tra i quali in evidenza poneva «credere di capire qualcosa di politica», «credere […] che i fascisti la rivoluzione l’avrebbero fatta loro» e, infine, «saltare fra i comunisti». Era stato un errore imperdonabile aver interrotto gli studi preferiti per tradurre Marx. Unico rimedio: «Finire pulitamente una vita disordinata e polverosa». Un crudo bilancio stilato con impietosa autocoscienza.