L’incognita della spesa per interessi.

 

ANALISI
Idati del consuntivo 2017 diffusi ieri dall’Istat relativamente ai conti pubblici sono indubbiamente incoraggianti. Si attende per fine mese la valutazione di Eurostat per quel che riguarda la contabilizzazione degli esborsi per il salvataggio delle banche venete (impegni finoa 12 miliardi), che potrebbero spostare di qualche decimale il target del deficit. Continua pagina3 Continua da pagina 1 Al momento, l’intero quadro delle variabili di finanza pubblica presenta risultati migliori delle previsioni, con il debito al 131,5%, un decimale in meno di quanto stimato dal Governo (era al 132% nel 2016), il deficit all’1,9% (contro il 2,1% della Nota di aggiornamento al Def) e l’avanzo primario all’1,9%, due decimali in più delle ultime stime governative. Dati positivi che non consentono però di abbassare la guardia. Il sentiero stretto più volte evocato dal ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan resta tale, per una serie di ragioni da ribadire al termine di una campagna elettorale in cui si è assistito a una mirabolante rincorsa alle promesse irrealizzabili. La prima ragione è che la riduzione del deficit 2017 è da attribuire in gran parte alla minore spesa per interessi, in calo dell’1,7% (nel 2016 era del 2,3%). È l’effetto della politica monetaria espansiva della Bce (il Quantitative easing). Beneficio che già quest’anno andrà gradualmente riducendosi, fino ad annullarsi nel corso del prossimo biennio. Se i tassi torneranno a salire, l’onere del servizio del debito riprenderà a crescere. Occorre quindi attrezzarsi fin d’ora a una politica economica accorta, che rifugga da pericolose tentazioni di ritorni a stagioni di deficit spending. Ogni deviazione dal percorso avviato finora, con annessi i rischi di una prolungata incertezza politica post elezioni, renderebbe più gravoso il finanziamento del debito. La seconda ragione, connessa alla prima, è che il percorso di riduzione del debito non va in alcun modo arrestato. Dunque occorre consolidare e rendere più consistente la crescita, ora all’1,5%, per accompagnare via “denominatore” la discesa del debito. Ma solo con conti in ordine si può impostare un sentiero di crescita stabile e crescente nel tempo. La terza ragione è che se il 2017 si è chiuso con questo incoraggiante risultato, sul 2018 e 2019 incombono non poche incognite. La Commissione Ue ancora non ha formalmente dato il via libera alla manovra 2018. Il giudizio è atteso per maggio, e potrebbe preludere (probabilmente in autunno) alla richiesta di una correzione pari allo 0,2% del Pil (attorno ai 3,4 miliardi). Infine va ricordato che nelle previsioni a legislazione vigente è incorporato l’aumento automatico dell’Iva per 12,4 miliardi nel 2019 e 19,2 miliardi nel 2020, pesante eredità delle clausole di salvaguardia introdotte a garanzia dei conti pubblici. Se si deciderà di non farle scattare, occorrerà predisporre risorse compensative (quali?). Lo si potrà fare in deficit? Difficilmente Bruxelles darebbe il via libera se la discesa del debito fosse interrotta. Si può certamente tentare l’azzardo, ma rischieremmo una procedura d’infrazione, senza poter fruire più di alcun margine di flessibilità.
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