Il leader dem convinto che Renzi non creda più nella coalizione: “Vuole solo logorare tutto, è un gioco scoperto” E rilancia le sue proposte su crescita e welfare. “Niente accordicchi, il governo vive solo se riesce a fare le cose”
di Giovanna Vitale
ROMA — È sempre la solita storia, un film già visto. Esattamente sei anni fa, come fosse ieri. Al Nazareno se lo ricordano bene quel maledetto febbraio 2014, un incubo che ritorna: le cronache di allora scaricate dal web restituiscono un inquietante dejavu. Matteo Renzi che twitta “Enrico stai sereno”, lavora ai fianchi il premier Letta e poi lo accoltella alle spalle per prendere il suo posto. Lo stesso schema proposto contro Giuseppe Conte. Che però oggi rischia di far precipitare il Paese nella palude, non solo l’esecutivo.
Perciò Nicola Zingaretti è furibondo. Una data segnata in rosso sul calendario: metà aprile, Pasqua alta quest’anno, subito dopo il referendum sul taglio dei parlamentari. O entro due mesi la maggioranza torna a correre, archiviando litigi e incomprensioni, oppure è meglio che ognuno vada per la sua strada. Archiviando un’esperienza di governo che non ha funzionato.
Chiuso in stanza con il vice Andrea Orlando e un gruppo di fedelissimi, il segretario del Pd decide di passare al contrattacco. Un ragionamento a più voci che suona grosso modo così: «Renzi a questo governo non crede più. È la stessa tattica utilizzata con Enrico Letta: logorare, logorare per buttare giù tutto, solo che lo ha già fatto, il gioco è scoperto. Ed è un danno per l’Italia». Ecco perché la seconda gamba della maggioranza, ormai diventata prima nei sondaggi, non può permettersi di star ferma. Deve muoversi. Tornare a dettare l’agenda, a parlare di cose concrete, a riaprire i gazebo già a fine mese per confrontarsi con gli elettori. Per non farsi trovare impreparati, qualora la situazione dovesse precipitare. Il leader dem lo spiega con fermezza ai collaboratori, prima di ricevere la telefonata del presidente del consiglio che gli comunica la sua intenzione di replicare a brutto muso al senatore di Firenze: «Noi non accetteremo accordicchi, il governo va avanti se fa le riforme, ciò che per il Pd è irrinunciabile: il patto per lo sviluppo e il lavoro concordato con imprese, sindacati e università; investimenti green; assegno unico per i figli a carico; estensione dell’obbligo scolastico; parità di salari per uomini e donne».
Più o meno gli stessi punti che Zingaretti elencherà nella conferenza stampa organizzata a metà pomeriggio al Nazareno non per rispondere a Renzi, a quello ci ha già pensato Conte, ma — spiegherà il segretario a microfoni spenti — «per dimostrare che il Pd è una forza tranquilla, impegnata a lavorare per il Paese».
È la linea condivisa pure con Dario Franceschini, che prima del Cdm notturno convoca i ministri dem per informarli che «sul lodo Conte bis si tira dritto, anche senza Renzi, visto che è stato lui a tirarsi fuori». Ultima mossa di una partita a poker dal finale incerto. Nessuno vuole assumersi la responsabilità di staccare la spina. Se il governo deve morire, lo farà per consunzione. Spiega Zingaretti a telecamere accese: «Non siamo in presenza di una crisi che nessuno ha dichiarato, Conte ha chiesto a tutti un atto di chiarezza, ma non siamo alla fine della legislatura». L’unica certezza, per il segretario, è una sola: non sarà il Pd a restare con il cerino in mano.