L’incontro Il senso di responsabilità antidoto all’estremismo

Confronti Dibattito domenica 16 all’Università di Pavia con Gentiloni, Maroni e de Bortoli

 

Una politica moderata fondata sul rispetto delle regole

di Fabio Rugge

 

Gli esiti delle elezioni di marzo, così travolgenti, non cessano di interrogarci e di richiederci riflessione e discussione. Così Paolo Gentiloni e Roberto Maroni ci offrono ora, per riflettere e discutere, due libri editi da Rizzoli. Il primo lancia la sua Sfida impopulista; il secondo propone il suo Rito ambrosiano. Ho provato a leggere i due testi in parallelo, con l’intenzione di riconoscervi i tratti della crisi italiana e i segni di una condivisa preoccupazione per la cosa pubblica.

Credo di averne individuato più d’uno. Cominciamo però dalle divergenze. Queste risalgono ovviamente alle appartenenze politiche dei due autori, ma probabilmente, ancor prima, ai loro profili biografici. Uno, di origini nobiliari (i conti Gentiloni Silveri), cresce, tra militanza e intellighenzia, nella capitale. L’altro, avvocato, ma di schietta stirpe contadina, cresce a Lozza, nel Varesotto, paesino di un migliaio d’anime.

Da due personalità così, non ci si può aspettare che abbiano la stessa opinione, ad esempio, sui ministeri romani. Infatti, per Gentiloni nelle burocrazie della capitale competenza e professionalità abbondano. Maroni, al contrario, è impietoso con gli uffici romani. Ne irride l’inesorabile lentezza, la cinica resilienza, la visione autoreferenziale. Nel libro di Maroni la tematica dell’autonomia ha un posto speciale. Offre lo spunto per ripensare lo Stato e l’Europa (e per manifestare qualche nostalgia verso la Lega di un tempo). Nel libro di Gentiloni, al contrario, l’azione ha come protagonista il governo centrale, il riformismo statale. Le autonomie locali quasi non si intravedono.

L’elenco di sensibilità e giudizi diversi potrebbe continuare. Però non mancano riconoscimenti importanti all’altro campo. L’ex governatore tributa un convinto omaggio a Franco Bassanini, riformista antiburocratico degli anni Novanta. Né manca quella che considererei la madre di tutte le convergenze. Per Gentiloni l’Europa ci serve a «non perdere la speranza»; Maroni la difende dagli «attacchi furibondi degli euroscettici».

Ma mi pare che l’idem sentire tra i due autori consista in qualcosa di più sottile e robusto: in una visione moderata della politica. Devo spiegarmi. «Moderatismo» è divenuto, nel tempo, sinonimo di scarso coraggio politico, di gradualismo inconcludente, magari di trasformismo. Quando attribuisco a Gentiloni e Maroni una visione moderata della politica, lo dico in un senso differente. Com’è noto, il politologo Carl Schmitt sostiene che la radice di ogni agire politico ha alla base la contrapposizione amico/nemico. Ecco, leggendo i due libri si ha la percezione di due uomini politici che praticano una nozione temperata di questa contrapposizione. Maroni biasima senza mezzi termini che nella lotta politica si ricorra ai «grandi annunci», alle «sparate social» e si cerchino quei successi mediatici che durano il tempo di un tweet. Apprezza il dialogo con gli avversari che condividano approcci concreti (tra i quali annovera lo stesso Gentiloni). In fondo, la sostanza del maroniano rito ambrosiano sta proprio qui: in «uno spirito di collaborazione tra istituzioni che supera gli steccati ideologici» e in «un atteggiamento di illuministica concretezza».

Da parte sua, Gentiloni è anch’egli favorevole a una «comunicazione più sobria» e ammira l’arte del buon compromesso. Soprattutto, prende in prestito da Papa Francesco una parola chiave: discernimento. Questo termine contiene un messaggio: «non tradire mai i valori di fondo», ma metterli in pratica «tenendo conto della situazione». È un invito alla «responsabilità» e alla «prudenza».

Appare allora facilmente come «sfida impopulista» e «rito ambrosiano» si integrino in un’istanza unica: la produzione di una politica diversa da quella che il XXI secolo ha sin qui proposto — non solo in Italia. Ad esempio, non solo nel nostro Paese, il tempo per la formazione dei governi oggi in carica è stato misurato in mesi. Peggio di noi hanno fatto, negli ultimi tre anni, la Spagna, la Germania e i Paesi Bassi; peggio sta facendo persino la Svezia. Sono fatti che ci parlano di una politica travagliata, confusa, vulnerabile ai sondaggi, intransigente; insomma poco incline al senso di responsabilità, al compromesso, al pragmatismo. È una politica che certamente non fa sua la sfida impopulista e segue ben altri riti che quello ambrosiano.

Sicché, questi due libri, figli di visioni diverse, certamente rivali, ci dicono però una stessa cosa. Che c’è bisogno di una politica più meditata, più dialogante, meno schiacciata sugli indici di gradimento, capace di guardare più lontano. C’è bisogno di politici che rispettino la loro missione e la rendano rispettabile agli occhi dell’opinione pubblica.

Proprio in quest’ultima, del resto, sta la radice del problema. Lo spazio pubblico (che Jürgen Habermas chiamò la Öffentlickheit) è stato investito dal crollo rovinoso delle ideologie e da una globalizzazione che impietosamente riformula e inasprisce le gerarchie tra gli uomini e tra i Paesi. Da ultimo, poi, la Öffentlichkheit ha conosciuto la trasformazione più impressionante dall’invenzione di radio e tv. Milioni di autori, tutti egualmente autorevoli, hanno messo mano alle tastiere dei computer. Hanno preso la parola in un’assise sterminata. In questo spazio si radicherà la politica del futuro. Per ora però in questo spazio «uno vale uno», il vero vale il falso, gli aggettivi valgono quanto gli argomenti. E tutto ciò mette a prova la costituzione reale del Paese, che è patto non scritto su valori e regole.

Impopulismo e rito ambrosiano possono allora servire a tracciare un «perimetro costituzionale» che non può essere elaborato da una commissione parlamentare. Deve essere invece pazientemente ridisegnato da quanti animano quelli che andrebbero chiamati gli «anticorpi intermedi»: l’impresa, l’università, i media autorevoli, le autonomie locali. È a questi anticorpi che andrebbero affidate la sfida impopulista e la diffusione di un salvifico rito ambrosiano.

 

Fonte: Corriere della Sera, https://www.corriere.it/