Intervista con l’ex sindaco Pierluigi Piccini: un nuovo turismo per non diventare come Firenze
Paolo Ceccarelli
siena Undici anni da sindaco, un lustro passato all’opposizione e un altro che è iniziato da poco, una carriera in Mps. Di Pierluigi Piccini si può dire tutto, ma non che non conosca Siena. E a suo avviso la città ha davanti una grande opportunità: «dopo la pandemia ci saranno condizioni irripetibili per una rinascita» è il sottotitolo del lungo documento che ha pubblicato ieri sul suo blog a nome del gruppo consiliare «Per Siena» (il titolo è appunto: «La grande opportunità senese»).
Piccini, lei parla di «un nuovo modello» economico, sociale e culturale per Siena ispirato ai principi della lentezza e della sostenibilità. Ma intanto a causa del coronavirus si perderanno un sacco di posti di lavoro.
«Ma la crisi di Siena non inizia adesso. È il modello economico della città ad essere debolissimo e in grave difficoltà da anni. Il punto è che Siena si è adagiata su rendite di posizione parassitarie e in tutti questi anni non è stato fatto nulla per cambiare la situazione».
La rendita di posizione era «babbo Monte» che distribuiva soldi e opportunità? Ma è da qualche anno che non è più così. E la banca non è neanche più senese, a ben vedere…
«Mi riferisco alla rendita finanziaria che poi, con il crollo di Mps, è diventata rendita sul turismo mordi e fuggi e anche sull’edilizia. Perché la verità è che Siena non vive di redditi da lavoro, non crea ricchezza. E quindi, per sopravvivere, ci si attacca alle rendite. Qui c’è un Pil debolissimo e noi, caduto il Monte, stiamo diventando come Firenze, come Venezia. Ora però abbiamo l’opportunità di voltare pagina. Ma serve la volontà politica».
Il sindaco De Mossi, in una intervista al Corriere Fiorentino , ha detto che servono più scienziati e ingegneri informatici e meno bancari. Le piace come sintesi?
«Ma che vuol dire? A parte che se Mps è in queste condizioni non è certo colpa dei lavoratori della banca, quella di De Mossi mi pare solo una frase a effetto. Di concreto questa amministrazione non ha fatto nulla finora per cambiare lo status quo. E non lo dico perché voglio polemizzare con il sindaco. Anzi in questo la sua giunta è in continuità con quella di Valentini. Lo dico perché ci dobbiamo porre davvero il tema delle invarianti strutturali della città».
Le si potrebbe obiettare che anche lei ha governato la città, anche se 25 anni fa. Certi segnali non li aveva visti?
«Guardi, noi come città a un certo punto ci siamo trovati in questa situazione: non avevamo vissuto l’industrializzazione ma avevamo una banca forte, la ricerca applicata sulle biotecnologie e i vaccini, beni culturali apprezzati in tutto il mondo, un ambiente sano e una capacità non banale di mettere in collegamento soggetti istituzionali diversi in tempi rapidi. Con la mia amministrazione mettemmo le fibre ottiche, lavorammo sul Santa Maria della Scala per farlo diventare un centro di produzione culturale e non solo una sede di esposizioni come è adesso — peraltro spesso acquistate all’estero — e lanciammo la Finanziaria senese di sviluppo per creare le condizioni per attrarre investitori. Questo era il nostro modello, ed è stato distrutto».
E oggi? Come deve affrontare la crisi Siena?
«Serve un modello forte, nuovo. Non possiamo pensare di essere come Firenze o peggio scimmiottarla. E allora: serve un distretto culturale evoluto, con aperture esclusive di gallerie, musei, laboratori artigiani, eventi culturali di qualità, limitazioni per le visite dei grandi gruppi nei musei. Ancora: abbiamo un patrimonio bibliotecario diviso in cinque sedi, perché non riunirlo e digitalizzarlo? Sui beni culturali bisogna investire in modo nuovo coinvolgendo le nostre università, cosa che finora non è stata fatta. Poi abbiamo a sud della città un distretto agroalimentare e a nord il manufatturiero: sono le ali del nostro sviluppo. Perché una cosa deve essere chiara: Siena senza il territorio che c’è intorno non va da nessuna parte, perché è fuori dalle mura che si produce».
La Grande Siena, l’alleanza coi Comuni vicini. Un’idea finora irrealizzata, però.
«E purtroppo temo che resterà tale con questa amministrazione, perché nel Piano Operativo che ha presentato la giunta De Mossi non c’è nulla al riguardo. Nulla».
Non sarà difficile convincere i senesi che le fortune individuali e collettive non passano più dal posto in ufficio, che sia Comune o banca?
«Non è vero, non è così. A parte il fatto che saremo costretti a cambiare, io sento molto interesse per l’innovazione. C’è una nuova generazione, quella dopo i Millennials, molto attenta alla qualità delle cose. Così come ci sono ceti medi dinamici con cui bisogna fare una grande alleanza per trasformare la città liberandola dalla rendita. È chiaro che se ti rimetti la solita pantofola, non cambierai mai nulla».
Un progetto così ambizioso avrebbe bisogno di un consenso molto largo, che le opposizioni non hanno. E la proposta di collaborazione avanzata da lei e dal Pd è stata stoppata dal sindaco.
«La proposta resta valida. A patto che ci sia una discontinuità politica. Non si tratta di entrare in maggioranza, ma di pensare ad un metodo per collaborare. Certo se la risposta è “io da sindaco giudico cosa va bene e cosa no in modo insindacabile», si va da poche parti ».