L’EUROPA RESTA IN BILICO.

 

ANALISI
Dalla lunga notte del Consiglio Europeo di Bruxelles emergono tutti con qualche successo ottenuto e qualche punto di principio salvaguardato. Dalla lunga notte del Consiglio Europeo emergono tutti con qualche successo ottenuto e qualche punto di principio salvaguardato. Nella tradizione, si dirà, delle soluzioni più o meno provvisorie a questioni strutturali, alle quali le liturgie europee ci hanno da tempo abituato. Eppure, a ben vedere, questa volta il minimalismo e la relativa fragilità dei risultati raggiunti consentono di evitare, almeno pro tempore, una crisi esistenziale nella quale l’Unione Europea ha seriamente corso il rischio di precipitare. E su un argomento destinato a riproporsi e senza soluzioni definitive, come quello dei flussi migratori. Anzitutto, il sistema Schengen è stato salvaguardato, malgrado la minaccia di sostituirlo con un fascio di accordi bilaterali, che avrebbe azzerato la libera circolazione in Europa, spingendo ai margini i Paesi di primo approdo; l’Unione, poi, ha potuto conservare il suo «metronomo», scongiurando quel rischio di caduta immediata della Cancelliera Merkel, suscettibile di aprire la strada a successori forse meno inclusivi di lei. In questo senso, una volta di più, il Consiglio Europeo ha rappresentato l’ambientazione di conflitti e esigenze politiche interne degli Stati membri, a partire non solo dalla Germania. Non è irrilevante, quindi, che si sia infine deciso a 28, superando veti parsi all’inizio incrollabili. Tattica ben nota e consolidata, peraltro, nella tradizione comunitaria, anche se meno consueta per l’Italia, da tempo afflitta da una paralizzante sindrome dell’isolamento, dalla quale ė parsa questa volta volersi emancipare. Cercando di dare un’interpretazione non meramente tecnica dei risultati raggiunti, a iniziare a mutare sembra essere intanto lo spirito complessivo: si consolida la consapevolezza della necessità di un approccio integrato ai flussi, non limitato all’emergenza dell’approdo, ma esteso solidalmente alla gestione dei migranti nei Paesi di origine, lungo la rotta, in Libia (le cui autorità vengono ulteriormente responsabilizzate) e in mare; viene posto un limite al Far West delle organizzazioni non governative; si riconosce in definitiva, pur senza per ora trarne troppo le conseguenze, che chi approda in Italia approda in Europa; continua a evolvere in qualche modo il concetto, ineludibile per tutti alla lunga, dentro e fuori il Continente europeo, delle piattaforme di sbarco, dei centri di accoglienza e smistamento. Già qualcosa rispetto alle premesse, malgrado non vengano intaccati i rigidi paletti del diritto internazionale e, almeno per ora, degli accordi di Dublino, assai limitativi per noi e chiamati a giustificare le intransigenze altrui. Poco, se si pensa all’irreversibilità e ai flussi dei migranti economici, soverchianti rispetto ai richiedenti asilo: ma di questo – c’è da contarci – sarà la dura legge dei numeri a fare giustizia, mettendo tosto o tardi gli Stati di fronte alle loro responsabilità e inducendoli a puntare più realisticamente sulla prevenzione e sull’incoraggiamento dei flussi legali. E l’Italia? Detto già del nostro veto iniziale sulle conclusioni consiliari, va rilevata la determinazione con la quale abbiamo posto sul tavolo una questione concreta e ineludibile: fino a quando la sopravvivenza dell’Unione Europea potrà essere affidata alla resilienza e alla capacità di assorbimento di un solo Stato membro? Vale per l’immigrazione, la cui soluzione in ambito europeo non può essere perseguita con la destabilizzazione di un solo Parse; vale – ed è facile immaginare che la questione verrà da noi posta – per le regole economiche e finanziarie, costringendoci a scegliere tra rigore e crescita e facendo rischiare all’eurozona, all’Unione stessa di implodere a causa nostra. Il problema dei problemi. È una situazione che non può chiaramente durare e a poco servirebbero, a fronte della portata globale di queste dinamiche, tentativi di emarginazione o di cordone sanitario. I negoziati che seguiranno saranno complessi. Le reazioni di questi momenti dopo il Consiglio Europeo, la pretesa che nulla sia mutato, lo dimostrano. Di nuovo, come detto all’inizio, ciascuno avrà bisogno di un risultato da esibire e di una linea rossa da non travalicare. Il punto davvero debole di tutto quanto emerso dalla notte consiliare sta, infatti, proprio nel carattere «volontario» degli impegni concordati. Adempie chi vuole e un po’ come può. Si torna insomma purtroppo alla logica dei rapporti di forza. E in questo campo sono essenziali i toni e la fermezza, la forza e la coesione di ciascun sistema Paese, ma anche la capacità e la flessibilità di stringere le alleanze e mantenere i contatti.
La Stampa – 
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