L’era di Biden dalla Casa Bianca” “Fuori gli intrusi”

Il candidato dem fa il pieno di voti negli Stati chiave Lo “zio Joe” parla già da presidente: “Unirò la nazione”
Anna Lombardi
Joe Biden uscì a riveder le stelle… E, sì, anche le strisce. Quelle delle bandiere, s’intende, che non hanno mai smesso di sventolare sul palco nel grande parcheggio del Westin Hotel, l’albergo nella periferia di Wilmington, trasformato in quartier generale dei dem. Qui la festa drive-in della vittoria è pronta fin dalla notte del 3 novembre. Nel frattempo, Donald Trump non ha ancora concesso. Ma l’attesa sale. Si parla di un comizio alle otto di sera (le due di notte in Italia) dove Kamala Harris, prima donna e afroamericana alla vicepresidenza, ringrazi l’America. E Biden, che da giovedì parla già da presidente, faccia un ennesimo appello all’unità nazionale: «Torniamo ad essere Stati Uniti d’America». Il suo staff, ottimista di mattina, nel pomeriggio non si sbilancia: «Potrebbe accadere stasera. O domani». Ma intanto una nota ufficiale della campagna di Biden mette le cose in chiaro contro le contestazioni di Trump: «Saranno gli americani a decidere l’esito di queste elezioni e il governo degli Stati Uniti è perfettamente in grado di scortare gli intrusi fuori dalla Casa Bianca».
Il sei volte senatore del Delaware, due volte vice di Barack Obama, sembra proprio avercela fatta. Al terzo tentativo della sua carriera (ci provò pure nel 1988 e nel 2008) e nonostante la conta non sia ancora definitiva, Joe Biden è a un passo dall’essere dichiarato 46esimo presidente degli Stati Uniti. Secondo cattolico dopo John Fitzgerald Kennedy. E pure il più anziano, visto che compirà 78 anni il prossimo 20 novembre. Con oltre 72 milioni di voti, è il più votato della Storia. Ma la strada verso la Casa Bianca si dipana davanti a lui molto lentamente, un voto contato dopo voto. Nelle lunghe ore di spoglio ha invocato costantemente la «calma» agli elettori esausti davanti a quella mappa che non si decide a colorarsi di blu.
Lo zio d’America. Quando Biden finalmente sorpassa Trump in Pennsylvania, e la speaker della Camera Nancy Pelosi afferma «l’era Biden è iniziata», abbandonando ogni cautela, pure in città c’è chi festeggia a suo modo. Spaceboy Clothing, il negozio di t-shirt al 704 di North Market Street, mette in vetrina la maglia creata per l’occasione con scritto: “Uncle Joe 2020”: «Qui a Wilmington è davvero per tutti una sorta di zio», dice emozionato Carl Foster, che ha ideato la maglia. «Una persona alla mano, che ha a cuore le sorti di tutti. Si ricorda di tua madre malata, passa a chiederti come te la passi, entrando in negozio lasciandosi dietro la scorta. Magari comprando pure qualcosa di cui non ha bisogno, sapendo che gli affari non vanno bene», prosegue indicando la strada principale dov’è ormai chiuso un negozio ogni tre. «E speriamo ci aiuti a rilanciare la nostra economia in declino. Potrebbe trasformerà la sua casa di Barely Mill in una sorta di Casa Bianca estiva, come il ranch di Bush a Crawford, in Texas, o la Mar-a-Lago di Trump in Florida ». Ce ne sarebbe davvero bisogno, nella cittadina di appena 70mila abitanti, 78esima più pericolosa d’America, un tempo capitale della chimica, cresciuta grazie all’indu stria Du Pont che inventò nylon e teflon e ora tragicamente in declino. Nel frattempo, su Wilmington è scattata la chiusura dello spazio aereo. E pure la sicurezza è stata rinforzata, con una nuova squadra di agenti dei servizi segreti schierati “in anticipo” rispetto al previsto davanti alla casa del (quasi) presidente eletto.
Ecco chi è Jospeh Robinette Biden, nato in una famiglia cattolica irlandese ed economicamente modesta a Scranton, nella vicina Pennsylvania, cittadina mineraria celebre finora soprattutto per essere stata la location della serie tv The Office. Ma approdato nel Delaware poi mai più abbandonato quando aveva appena 10 anni. Suo padre, Josehp Senior, ci si trasferì con la famiglia dopo aver perso il posto in una compagnia di sigillanti per navi, per reinventarsi la vita come venditore di auto usate. «Un uomo non si misura da quante volte cade, ma da quanto velocemente si rialza»: come gli disse allora. Dandogli quella lezione che ha plasmato il carattere di Joe per il resto di una vita che, va detto, gliele ha davvero suonate.
Studente mediocre perché balbuziente, si sforzava ogni giorno di leggere poesie ad alta voce. Buon giocatore di football sfruttò le sue doti sportive per costruirsi un’immagine da leader naturale: a dispetto dell’indole d’incontenibile gaffeur. Primo della sua famiglia a frequentare l’università, studiò legge a Syracuse, New York, per amore. Qui viveva infatti Neilia Hunter, la ragazza di cui si era innamorato durante una vacanza alle Bahamas. Finalmente sposata, contro il parere della famiglia di lei, nel 1966. Dopo aver esercitato brevemente come avvocato, e aver fatto una piccola esperienza da consigliere regionale, a soli 29 anni Joe si convince di essere tagliato per la politica. Nel suo Delaware allora solidamente repubblicano conduce una serrata campagna porta a porta: approdando in Senato, nel novembre 1972. Un mese dopo, lo colpisce però la prima grande tragedia. La moglie e la figlioletta di un anno Naomi muoiono in un incidente stradale, travolte da un camion, alla Vigilia di Natale. Disperato, vuol mollare tutto: ma i compagni di partito lo convincono a provare sei mesi. Il 23 gennaio 1973 giura dunque accanto al letto di ospedale del figlioletto Beau ingessato: sì, il futuro procuratore ed eroe di guerra, ucciso da un tumore al cervello nel 2015, altro devastante lutto della sua vita.
Iniziano così i suoi 36 anni da pendolare al Senato: dove va tutti i giorni in treno al mattino, tornando da Washington in tempo per dare la buonanotte ai figli Beau e Hunter la sera. Ritrovando coraggio anche grazie all’aiuto di Jill Jacobs (ma il cognome originale è il sicilianissimo Giacoppa) sposata nel 1977 dopo un lungo corteggiamento e due no alle sue proposte. Insieme avranno una figlia, Ashley. Insegnante in un community college, università popolare parzialmente supportate dallo stato, è l’unica moglie di un vicepresidente che si è rifiutata di smettere di lavorare.
Ambiziosissimo, nonostante l’immagine di uomo alla mano, Biden, d’altronde, ricopre incarichi prestigiosi: presidente del comitato giustizia fra 1987 e 1995 è più volte presidente della Commissione Esteri. Le sue posizioni bipartisan e le amicizie in campo repubblicano (celebre quella con John McCain) non sono amate da parte del partito: dall’opposizione all’uso forzato dei bus per integrare gli studenti neri nelle scuole bianche rinfacciatogli pure da Kamala Harris nel corso del primo dibattito delle primarie. Al trattamento riservato all’antesignana del #MeToo, Anita Hill, nel 1991, quando, capo della commissione Giustizia la lasciò massacrare dai colleghi senatori mentre accusava di molestie il giudice conservatore afroamericano Clarence Thomas, nominato alla Corte Suprema. Senza dimenticare il voto favorevole alla guerra in Iraq. Barack Obama, sfidato alle presidenziali 2008, lo volle suo vice e lo ricompensò dandogli accesso alle stanze dei bottoni. «Da questa modesta casa alla Casa Bianca », ha scritto l’altra sera nel salotto della casa di Scranton dov’è nato. Una strada lunga una vita.
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