LEGGE DANNOSA ITALIA UMILIATA

Claudio Tito
Bruxelles può mandare 12 letterine da qui fino a Natale, ma la manovra non cambia di una virgola». Era il 24 ottobre scorso e il campione del sovranismo italico, Matteo Salvini, sfidava così la Commissione Ue.
Orgoglio nazionalista contro europeismo. Sono passati poco meno di due mesi e un bel po’ di punti di spread.
E quella sfida il leader leghista e il suo sodale Di Maio l’hanno persa. Questo balletto inverecondo ha prodotto un solo risultato: l’umiliazione dell’Italia.
Altro che autonomia dai “burocrati” europei, il governo gialloverde ha dovuto accettare un esito senza precedenti: la manovra è stata scritta sotto dettatura proprio dalla Commissione di Bruxelles. La spavalderia del rapporto deficit-pil al 2,4%, l’avventurismo delle previsioni di crescita all’1,5% si sono sciolte nella paura di conseguenze che non sapevano calcolare e non avrebbero saputo gestire. E allora ecco dieci miliardi di tagli, retromarce, a partire dall’ecobonus. Si evita forse la procedura d’infrazione ma resta il monitoraggio di Bruxelles. La finzione di quei conti si disvelerà presto e piegherà ancora il governo a giugno con una manovra correttiva. Ma soprattutto non esiste un progetto per il Paese. Gli investimenti sono azzerati. Il “cambiamento” è una epifania di pochezza spacciata per vicinanza al popolo. Con il reddito di cittadinanza e quota 100 usati come totem. In quel testo, però, non c’è niente di popolare, c’è semmai molto di demagogico e di interesse elettorale.
Con un contraccolpo anche per il nostro sistema istituzionale.
Perché nell’attesa di un negoziato penoso, il Parlamento è stato profanato, ridotto a esecutore afono di decisioni prese altrove.
Questa maggioranza ci offre un Paese che, anche attraverso queste sciagurate procedure, rischia di perdere tutti gli anticorpi civili che in 70 anni hanno evitato qualsiasi forma di scivolamento antidemocratico.
La legge di Bilancio, oltre ad essere dannosa più che inutile, segna dunque la sconfitta di una classe dirigente. Una classe dirigente che si rispetta agisce, nel lungo periodo, secondo gli interessi generali del Paese. La ragione sociale di questa manovra, al contrario, è quella di soddisfare un bisogno immediato di una parte della popolazione senza rimuoverne le cause.
L’Italia accetta un declassamento delle sue aspettative, confonde le giuste istanze dei cittadini più disagiati con un piano di sviluppo complessivo. Grillo la chiama decrescita felice. Ma di felice non ha nulla. Del resto, quando manca una classe dirigente le risposte ai cittadini-elettori non possono che essere queste: una soddisfazione breve e senza futuro. L’Italia dal dopoguerra ad oggi – a parte la stagione berlusconiana – quasi mai è stata così. I governi e le maggioranze pro tempore tengono conto – nei sistemi democratici – delle indicazioni e dei suggerimenti degli esponenti più preparati del Paese. Questo governo sottrae il futuro per provare a tutelarsi in un presente che può solo durare poco. È l’accettazione di un declino che non riguarda solo la politica.
Fonte: La Repubblica, https://www.repubblica.it/