Le alchimie nascoste dietro la maschera del latinorum.

IL PUNTO DI STEFANO FOLLI.
Le alchimie nascoste dietro la maschera del latinorum
Ritorna il “latinorum” da burletta che accompagna la storia infinita della riforma elettorale. Quel rosario di definizioni in “um” che in definitiva nel corso degli anni è l’unico risultato del lavorio parlamentare e suscita la divertita ironia degli osservatori stranieri. Ci si domanda se questa nuova versione del cosiddetto “Rosatellum” avrà miglior fortuna delle precedenti. Se in sostanza troverà i voti per essere approvata. Al momento sembra parecchio difficile che questo accada perché i rapporti politici sono sfilacciati e si è già visto prima dell’estate, quando si dibatteva intorno al “modello tedesco” (che era tale solo di nome), quanto sia precario il castello di carte.
In tema di legge elettorale, il fossato che divide l’Italia dai maggiori paesi occidentali tende ad allargarsi sempre più. Francia, Germania, Gran Bretagna, Stati Uniti hanno sistemi diversi ma collaudati da tempo. Rispecchiano un’idea della società, un equilibrio che si è voluto costruire e preservare. Non sono esenti da difetti, tuttavia il cittadino di solito detiene lo scettro e sceglie i suoi rappresentanti. Li sceglie e all’occorrenza li revoca.
Da noi ci si agita da anni nell’ambiguità e nell’incertezza. La priorità non consiste nel rendere un servizio all’elettore, bensì nel garantire la classe politica. I vertici dei partiti in crisi – e lo sono tutti, compresi quelli che si definiscono “movimento” e si dichiarano contro il sistema – badano a salvaguardare se stessi e a controllare i gruppi parlamentari. Non a caso all’assenza di un metodo trasparente per la selezione di deputati e senatori corrisponde il declino del Parlamento nelle sue funzioni di controllo e di iniziativa legislativa. Le leggi elettorali sono figlie della tattica del momento e mai derivano da una visione di lungo termine. Il culmine si è raggiunto con l’Italicum: imposto con il voto di fiducia e costruito per un Parlamento monocamerale quando ancora era vigente il Senato. Poi il referendum ha spazzato via la riforma costituzionale, il sistema è rimasto bicamerale e l’Italicum, prima di essere cancellato dalla Consulta, è apparso come un monumentale controsenso.
È chiaro allora che il “latinorum” serve a mascherare la povertà dei contenuti. La legge elettorale non nasce da una franca discussione su quel che è meglio per avvicinare i cittadini alle istituzioni. Perché in tal caso basterebbe guardare ai modelli di Parigi o Berlino, se non si vuole arrivare fino a Londra. Viceversa tale eventualità è esclusa in partenza e le ipotesi su cui ci scontra, sebbene ormai stancamente, sono sottili alchimie studiate a tavolino nel tentativo di assecondare questo o quel disegno politico. O di favorire il consumarsi di qualche vendetta.
Il cosiddetto “Rosatellum” non fa eccezione. In primo luogo serve al Pd, partito di maggioranza relativa, per respingere l’accusa di essere rimasto inerte. È una proposta compiuta: senza dubbio l’ultima in questa legislatura. Ed è un mosaico composto in modo da piacere sulla carta a molti, se non a tutti. I Cinque Stelle diranno di no, come pure la sinistra bersaniana. Ma alla Lega può andar bene e Berlusconi dovrà riflettere a fondo prima di decidere in un senso o nell’altro. Nel merito il disegno di legge è un ibrido con quel 36 per cento di maggioritario e il resto di proporzionale. Il vecchio Mattarellum, a cui vorrebbe ispirarsi alla lontana, prevedeva il contrario: la quota maggioritaria superava di molto quella proporzionale.
Se dovesse passare, la riforma garantirà alle segreterie dei partiti il controllo su gran parte degli eletti. Attraverso il meccanismo dei capilista bloccati, Renzi, Berlusconi, Salvini e anche Grillo sapranno assicurarsi la fedeltà di chi andrà a Montecitorio o a Palazzo Madama. E questo alla fine realmente conta per gli ideatori della legge, più ancora della scomparsa dei partiti minori. Non è un caso se un analogo modello non esiste in Europa e se nessuno dei maggiori paesi vorrebbe cambiare la sua legge con l’arabesco italiano. Nell’ipotesi peraltro improbabile che il Parlamento la voti nelle prossime settimane.
Fonte: La repubblica, www.repubblica.it/