Mille euro sono spiccioli per un partito. Ma ci sono spiccioli che pesano più di altri. Soprattutto se a versarli a un movimento politico, in questo caso l’articolazione siciliana della Lega di Matteo Salvini, è un’azienda tra i cui soci c’è un imprenditore condannato per reati di mafia e ha un fratello capo clan imparentato con il latitante dei latitanti: Matteo Messina Denaro, un fantasma da 29 anni, condannato anche per le stragi al tritolo del 1993 e 1994 firmate da Cosa nostra, la mafia siciliana all’epoca ancora in mano a Totò Riina.

In questa storia di finanziamenti ai partiti ambientata nel cuore della Sicilia c’è anche un’altra anomalia: nella ditta, che si chiama Flott Spa, è presente con una quota persino lo stato, subentrato dopo una confisca effettuata secondo la normativa antimafia.

Flott Spa è una realtà solida, marchio internazionale nella conservazione del pesce. La sede è a Aspra, comune di Bagheria, città natale di grandi talenti come il pittore Renato Guttuso e Giuseppe Tornatore, regista tra i tanti successi anche di Baaria, in siciliano Bagheria, appunto. Grandi talenti, ma feudo di cosche feroci prima e di successo imprenditoriale negli anni della pace post stragi ‘92-’94.

SOLDI ALLA LEGA

Flott Spa ha versato 1.000 euro alla Lega Salvini premier Sicilia alla fine di dicembre 2021. La donazione ha seguito i canali formali e legali, è stato dichiarato alla tesoreria del Parlamento che acquisisce le dichiarazioni congiunte di entrami le parti in causa con cui attestano la ricezione di finanziamenti.

Sul piano della forma, perciò, nulla da eccepire. Lascia certamente a desiderare la dimensione dell’opportunità politica di accettare un contributo seppure minimo da una società in cui il 20 per cento è in mano a Carlo Guttadauro, che ha finito di scontare una condanna per estorsione aggravata dal metodo mafioso e ha un fratello medico (ex primario del Civico di Palermo) arrestato di nuovo recentemente con l’accusa di aver fatto parte della famiglia mafiosa del mandamento di Brancaccio, quartiere di Palermo. Il terzo fratello Guttadauro si chiama Filippo: è lui il marito della sorella del latitante di Matteo Messina Denaro.

E dalle carte dell’inchiesta che ha portato in carcere Giuseppe Guttadauro emerge che quest’ultimo non ha niente più da spartire con il fratello Carlo e da tempo in famiglia le comunicazioni tra i congiunti si sono interrotte. Ma torniamo alla Flott e allo scomodo e indesiderato socio.

LA CATENA DEI NON SO

Il fatto curioso è che tutti i protagonisti di questa generosa donazione alla Lega dicono di non sapere, non ricordano, rimandano ad altri e altri ancora. Tutti prendono le distanza dal socio scomodo, Guttadauro, e sostengono che hanno provato a mandarlo via senza riuscirci.

Fatto sta che l’uomo della cosca è tuttora socio e lo era anche nei giorni in cui è partito il bonifico per sostenere la Lega. Di certo c’è che nella Flott convivono anime diverse: l’imprenditore, l’imprenditore cognato del condannato per estorsione mafiosa, il condannato per estorsione mafiosa e lo stato.

Partiamo dall’Agenzia dei beni confiscati, che si occupa anche delle aziende sottratte ai clan. Lo stato controlla il 5 per cento della società Flott, ma una funzionaria contattata da Domani spiega che la percentuale di azioni detenuta dopo la confisca è talmente irrisoria da non permettere all’amministratore giudiziario di quel pacchetto azionario di intervenire nella gestione della ditta.

Carlo Guttadauro ha detto, invece, a Domani che non ne sapeva nulla di questo finanziamento alla Lega, si dice vittima della giustizia, perseguitato dalla legge per alcune parole pronunciate contro un interlocutore e per questo condannato. Così ridimensiona quello che hanno accertato i giudici: un’estorsione aggravata dal metodo mafioso.

Ma non ci parla solo della sentenza, ma anche della sua posizione all’interno dell’azienda. Ci racconta il conflitto nato con l’altro socio presente nella Flott, suo cognato, con il quale non ha più rapporti.

Da quel che dice il fratello del capo mafia è in corso una guerra legale per la proprietà dell’azienda, Guttadauro accusa il cognato di avergli rubato la titolarità, ma ha perso tutte le cause che ha intentato e si sente inascoltato dalla legge. Intanto però Guttadauro continua a essere dentro l’azienda. Perché nessuno riesce a cacciarlo.

Né il cognato, Tommaso Tomasello che si smarca dalla parentela scomoda e dice di non sapere nulla di quei soldi. «Chi ti ha dato il mio numero, non può chiamare e rompere le palle, che ne posso sapere, io sono solo un socio», dice Tomasello.

Così chiediamo all’amministratore unico, Giovanni Perilli, che prende le distanze dal socio scomodo: «Non mette piede in azienda da trent’anni». Dopo un primo tentennamento, verifica le carte e racconta quel versamento. «Abbiamo deciso di sostenere la Lega perché condividiamo l’impegno del ministro Giancarlo Giorgetti a favore delle piccole e medie imprese». Ci risponde non prima di aver sottolineato la solidità dell’azienda e denunciando l’atavico problema della carenza infrastrutturale in Sicilia.

«Non sono di che donazione parlate», risponde Antonino Minardo, coordinatore regionale della Lega di Salvini. La telefonata non dura molto, per un impegno del deputato. Può un segretario non conoscere i suoi finanziatori? Potrebbe essere.

LA MASCHERA DI BORSELLINO

Da queste parti ricordano tutti Matteo Salvini l’ultima volta che ha fatto un viaggio a Palermo indossare la mascherina con disegnato il volto di Paolo Borsellino, il giudice ucciso il 19 luglio 1992 nell’attentato terroristico-mafioso di via D’Amelio. Certamente Salvini non era a conoscenza della storia dell’azienda che ha donato il soldi al partito siciliano. Ora lo sa, come si comporterà? Restituirà il denaro o lascerà che i suoi leghisti di Sicilia lo utilizzino per organizzare eventi politici?