L’arte della libertà di Kaprow il pioniere

Al Museo Novecento, da giovedì, l’omaggio a uno dei padri dell’happening Il direttore Risaliti: senza di lui, non esisterebbero né Marina Abramovi? né le Sardine
di Gaia Rau « La linea tra arte e vita deve rimanere fluida, e la più indistinta possibile » scriveva Allan Kaprow negli anni Sessanta, primo di sette principi con i quali l’artista statunitense, scomparso nel 2006, teorizzava la neonata pratica dell’happening. E se il suo nome risulta oggi meno celebrato, nell’olimpo dell’arte novecentesca e contemporanea, rispetto a quelli più altisonanti di una Marina Abramovi? o, in Italia, dei nostrani Pistoletto e Kounellis, è difficile pensare che tali percorsi avrebbero seguito le stesse traiettorie senza che qualcuno, prima di loro, scardinasse le regole di una fruizione passiva e contemplativa dell’arte a favore di un’arte- azione, esperenziale e partecipativa, in cui opera, pubblico e vita quotidiana si fondono sino a diventare una cosa sola.
Ecco perché Sergio Risaliti, direttore del Museo Novecento, ha scelto di celebrare il pioniere Kaprow con una grande antologica, da lui curata insieme a Barry Rosen e realizzata in collaborazione con Allan Kaprow Estate e Hauser & Wirth, che aprirà al pubblico giovedì 20 per restare visitabile fino al prossimo 4 giugno. Al centro della mostra, la più importante mai dedicata in Italia a Kaprow, un corpus di circa 40 opere su carta e tela che rappresentano gli esordi pittorici dell’artista, e poi video, opere grafiche e poster fino alla “ reinvention” — e cioè la riedizione e reinterpretazione a opera di nuovi artisti — di due sue celebri happening, Fluids e Words, performance a metà strada fra azione e improvvisazione, teatro e politica, poesia e gioco.
Nel primo, realizzato nel 1967, l’artista metteva in discussione il concetto di monumento costruendo un parallelepipedo fatto di blocchi di ghiaccio lungo 9 metri e alto 2,5, destinato a sciogliersi giorno dopo giorno sotto il sole della California. Al Museo Novecento, seguendo le regole stabilite dallo stesso Kaprow — ben più libere e svincolate dal concetto di autorialità rispetto ai rigidi confini del reenactment previsti per esempio dal metodo Abramovi? — sei artisti in residenza alla Manifattura Tabacchi (Davide D’Amelio, Anna Dormio, Bekhbaatar Enkthur, Esma Ilter, Giulia Poppi e Negar Sh) hanno pensato a una versione dello stesso monumento fatto di blocchi di carta, ricavati da fogli che i visitatori dovranno piegare usando la tecnica dell’origami. Il 1° maggio, inoltre, l’artista Elena Mazzi presenterà in Manifattura una sua versione dell’opera ispirata alla condizione operaia femminile, costruita intorno allo scambio di un garofano rosso. Ancora, il 4 aprile, Jacopo Miliani userà, al posto di carta o ghiaccio, persone in carne e ossa, trasformando Fluids in un’azione performativa che coinvolgerà il centro di Firenze. Quanto a Words, environment organizzato per la prima volta nel 1962 alla Smolin Gallery di New York, Kaprow invitava i visitatori a prendere una serie di parole tratte da poesie, giornali, fumetti ed elenchi telefonici, trascritte su carta e drappi di tessuto, e a rielaborarle in nuove frasi, aggiungendone altre: impresa che Daria Menafra, in Wom!, riproporrà sotto al loggiato del museo attingendo al linguaggio del marketing.
Muovendo a sua volta dalle basi poste da due solidissimi maestri — Jackson Pollock per aver portato il quadro fuori dalla tela decretando il superamento della pittura, e John Cage per aver affidato al caso un ruolo primario nella creazione artistica — Kaprow ha saputo inventare un linguaggio tutt’oggi attualissimo. « Potremmo definirlo il Cristoforo Colombo dell’arte contemporanea. Non solo senza di lui non esisterebbe Abramovi? — dice Risaliti — ma non ci sarebbero nemmeno le Sardine. Kaprow ha inventato una modalità creativa basata sulla liberazione che diventa fatto politico, etico: una comunicazione dolce e tagliente che tutt’oggi sa rivelarsi letale, perché capace di togliere violenza al linguaggio ». «Un museo come il nostro — prosegue il direttore — ha il dovere di restituire le basi di comprensione del contemporaneo, anche partendo da artisti meno noti, mostrando come della loro lezione si sono riappropriate le generazioni successive. Per il Museo Novecento inoltre questa mostra è una sfida, un esperimento sulla fruizione in cui, attualizzando il messaggio di Kaprow, chiederemo al pubblico di diventare parte attiva delle opere».
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