L’amore è pancotto e magia

Maestri «I balsami di Venere» (il Saggiatore), storia dell’erotismo in Europa tra Medioevo e Settecento

 

Piero Camporesi racconta le ricette degli antichi per risvegliare i sensi

«Si farà una minestra di pan fresco e di chiari d’ovi mal cotti, la quale sia ridotta a forma di latte e la pigliarà per tre o quattro giorni ogni mattina e sera inanzi pasto, né credo che si possa trovar cosa più al proposito in questo caso, se bene alcuni lodano li piccioni co’l vino rosso, alcuni il latte di pignoli, alcuni li stinchi, altre le passere…». La ricetta, sopra menzionata, che Alessandro Petronio — archiatra dei Sacri Palazzi al servizio di Gregorio XIII e medico, sembra, di sant’Ignazio di Loyola — proponeva alla fine del XVI secolo, nel suo manuale in cinque libri intitolato Del viver degli Huomini et di conservar la propria sanità, al fine di render l’atto d’amore fra l’uomo e la donna il più duraturo e dilettevole possibile, nonché infallibile ai fini della procreazione (una specie di pancotto, in realtà), è una delle tante ricette, o prescrizioni, contenute nel libro di Piero Camporesi, I Balsami di Venere. L’erotismo in Europa dal Medioevo al Settecento (il Saggiatore, prefazione di Elisabetta Rasy), con il quale questo straordinario storico-antropologo della letteratura, unico o quasi nel panorama italiano, pescando nel pozzo della sua sterminata cultura, allarga diciamo così «le competenze» e traccia, sornione e acuto, un vero e proprio ritratto, in quei secoli, della società italiana.

Altro che pancotto! Elisiri venerei, elettuari afrodisiaci, cibi stimolanti, pozioni magiche, polveri d’ambra e di muschio, olii e gelatine ricavate da galli, tacchini, faraone, testicoli di cervo e di toro, zenzero, pepe, noce moscata, cardamomo, cipolle bianche e fresche triturate insieme a testicoli di volpe, per non parlare di una certa erba portata da un indiano tale che appena toccata, non solamente mangiata, «incitava gli uomini al coito, ch’essa li faceva potenti ad esercitarlo quante volte lor fosse piaciuto» (settanta volte in un giorno, si diceva lo avesse fatto quell’uomo proveniente dalle Indie, alto e robusto), insomma tutti gli elementi possibili e immaginabili della natura, animale e vegetale, finivano in pentole che stavano perennemente sul fuoco. Del resto — scrive Camporesi — se è vero che il sogno della rinascita della carne è un sogno vano, che ha tormentato migliaia di generazioni, è altrettanto vero che, da sempre, «il senso della vita e la presenza attiva dell’uomo nel teatro mondano passavano attraverso la misura della virilità». Così com’era vero, e resta a tutt’oggi vero, che il trascorrere delle età dell’uomo — che Dante nel Convivio fissava in quattro, facendo iniziare la senescenza nel quarantacinquesimo anno — non più della morte, ma lo stesso affligge chi passa quel confine (oggi, assai dilazionato, per fortuna) col peso delle cose perdute, con la malinconia della memoria.

Va detto, ad ogni buon conto, che codesta «inefficienza» maschile, preoccupava grandemente anche le donne. Che non soltanto si premuravano di rimaner attraenti e belle, usando creme e spezie e pozioni per rinfocolar gli spenti desideri dai canuti mariti, o fidanzati, o amanti, o «compagni» quali orribilmente son chiamati oggi, ma, come ben sapeva e insegnava Caterina Sforza signora di Forlì, «molto sensibile ed attenta a tutto ciò che riguardava la natura sia al singolare mirifico strumento modellato per arare i campi», e dunque più di tutte esperta in ricette soprattutto a base di carne di passere e pippioni (piccioni, ndr) che teneva segrete, con mirabolanti e infallibili artifizi sapevano ripristinare parti violate e organi del proprio corpo logorati dall’uso.

Si legge con grande divertimento e piacere questo libro di Piero Camporesi, magnifico nel suo stile che, senza strafare, occhieggia ai secoli che percorre. E se — come sostiene — questa illusione plurimillenaria, questo sogno terapeutico dell’amore fisico perenne, trova un fondo di verità nel considerare il «mirabile corpo umano, gioiello della Creazione, ineguagliato capolavoro genetico di stupefacente complessità», un frammento cosmico, legato da affinità elettive, alle piante, agli animali, al mare, all’aria, persino ai morti, non si può non convenire con lui.