Il continente africano è in continuo fermento, protagonista di sommosse e scontri, guerriglie e povertà, sfruttamento e gestione affaristica del potere. La vicenda dell’uccisione dell’ambasciatore italiano della Repubblica Democratica del Congo, Luca Attanasio e del carabiniere della scorta, Vittorio Iacobacci, avvenuta lo scorso 22 febbraio, è ancora fresca, pronta a testimoniare, laddove ce ne fosse ancora bisogno, il caos e l’instabilità di intere regioni sub-sahariane. Repubblica Democratica del Congo, Congo, Ruanda, Uganda, Kenya e altre nazioni africane sono da decenni in lotta intestina tra loro per il controllo di porzioni di territorio e risorse naturali strategiche da un lato, dall’altro per arrivare a stabilire confini netti, nelle pieghe dei quali inevitabilmente proliferano scontri tribali e inter-etnici. Il cuore dell’Africa centrale è un luogo nel quale ancora oggi gruppi separatisti e paramilitari combattono e uccidono; militarizzando ogni regione geografica e contribuendo a disintegrare qualsiasi possibilità di unità popolare e nazionale.

La questione africana non può non chiamarci in causa, come italiani e come europei. Capire come interpretare e quale tipo di futuro può avere il continente africano è una della chiavi di lettura fondamentali per cercare di affrontare le sfide globali contemporanee nel segno di un politica più equa, sovrana e ponderata, che contrasti grandi agglomerati di potere privati i quali affamano e depauperano l’intero pianeta. Per collocare geopoliticamente l’Africa del terzo millennio è necessario ricorrere ad un alcuni grandi autori, studiosi di filosofia politica che hanno segnato un’epoca con le loro idee e interpretazioni. Dei grandi giuristi e filosofi del novecento, uno in particolari è più attuale che mai, oltre ad essere stato negli ultimi decenni riscoperto, studiato, tradotto e pubblicato: Carl Schmitt, tedesco originario di Plettenberg. Il grande studioso, i cui libri di enorme successo sono un punto di riferimento imprescindibile per chiunque voglia affacciarsi al mondo della geopolitica, del diritto e della filosofia politica, ha legato molta della sua influenza a concetti lungimiranti in grado di far orientare chiunque li studi nel mare magnum dei rapporti globali e internazionali. Procediamo brevemente all’analisi di alcuni di questi, ponendo particolare enfasi sugli assiomi Terra e Mare. La storia dei rapporti politici fra grandi potenze e nazioni è sempre stata caratterizzata da incontri, scontri, diplomazie, guerre, obiettivi di conquista e rivendicazioni territoriali, alleanze, commerci, scambi religiosi e culturali. In una brillante raccolta di alcuni suoi saggi, denominata Stato, Grande Spazio, Nomos, Schmitt analizza l’importanza della forma stato come motore per la crescita e lo sviluppo del diritto, dei popoli e delle nazioni europee. In particolare Schmitt si soffermano diffusamente sulla costruzione – giuridica, storica, diplomatica, economica e politica – dello stato moderno, incarnandolo in una istituzione tipicamente figlia dello spazio geografico europeo: lo stato moderno, liberale, di diritto e borghese è una caratteristica peculiare della Vecchia Europa, punto di arrivo di un processo secolare fatto di grandi pagine di storia e – sociale, artistica, religiosa e di conflitti.

Pensare ad una forma di stato all’infuori di quello che Schmitt definisce lo ius publicum europaeum non solo è impervio, ma, secondo l’autore tecnicamente impossibile. L’idea-Stato è nata e si è sviluppata in Europa, e non è in linea di massima esportabile ad altri continenti; quantomeno non in modalità e strutture già rodate e conosciute. Se ci troviamo in una situazione in cui la forma stato non è più l’eccezione ma la regola significa che ci troviamo difronte ad un cortocircuito che sta alla base e alla radice del processo di consolidamento delle singole nazioni. Se tutte le popolazioni o etnie del mondo si autoproclamano come stati allora si dovrà dedurre che nessuno di essi sia uno stato. La forma Stato moderna è frutto della politica dell’eccezione e dei regni sovrani europei e non è in questo senso duplicabile. Un’altra categoria metafisica e politica importante è quella di Grande Spazio – in tedesco Großen Raum: con tale termine Schmitt definisce tutte quelle aree di influenza (di uno stato, di una politica estera, di una campagna militare) incorniciate in una grande politica espansionista, sia sotto il punto di vista geopolitico che culturale. Grandi Spazi, oggi come in passato, sono presenti in oriente e in occidente: è un grande spazio quello dell’impero americano nel pacifico e in tutto l’occidente; era un grande spazio quello dell’Impero di sua Maestà britannica nell’India o dello Zar di tutte le Russie fino alla Siberia. Oggi sono identificabili un grande spazio cinese, russo, e americano, oltre che singoli casi presenti nel medio oriente come in Asia e in Africa. Proprio quest’ultima, insieme all’Europa, a livello di politica estera e in ambito geopolitico, rappresenta un grande spazio che – mestamente- subisce gli appetiti e le sfere di influenza altrui – a cominciare dalle pretese colonialistiche americane tutt’ora ben presenti. Per non rischiare di essere un grande spazio in vendita a buon mercato, bisogna pensarsi in prima battuta come grande spazio unito spiritualmente, socialmente, culturalmente e politicamente: tutte caratteristiche di cui Africa e Europa difettano in più o meno larga misura per divergenti motivi.

Se da una parte, l’Unione europea ha realizzato l’unità monetaria, finanziaria e commerciale, è altresì’ evidente che sia in difetto circa una vera unità economica, culturale e politica. Bruxelles come Strasburgo non sono stati capaci di amalgamare l’arcipelago Europa, culla di ricchezze paesaggistiche, artistiche, religiose, tradizionali e architettoniche, preferendo dare spazi alla longa manus di poteri lobbistici, affaristici e privati. E per quanto riguarda l’Africa? Urge qui introdurre le due più celebri categorie geopolitiche modellate da Carl Schmitt: Terra e Mare. Secondo l’autore tedesco, nello scontro sotterraneo tra grandi potenze per il controllo di sfere di influenza mondiali, si possono rintracciare, a grandi linee, nette divisioni tra potenze di mare e potenze terra. Riprendendo due figure mitologiche presenti nelle Sacre Scritture e nella tradizione ebraica, vengono delineati Behemoth, il mostro di terra, in antitesi a Leviathan, il mostro di mare.

La lucidità e la brillantezza, oltre che la fluida e illuminante scrittura, con la quale Schmitt analizza queste categorie nel suo insuperato e straordinario scritto intitolato Terra e Mare. Una riflessione sulla storia del mondo – pubblicato nel 1942 in una piena Seconda Guerra Mondiale – rende perfettamente l’idea dell’importanza di tali concetti a livello filosofico, geopolitico e geostorico. È possibile rilevare lo scontro fra potenze di terra e potenze di mare fin dalla storia dell’antichità: Roma che si contrappone a Cartagine, l’Impero Britannico che gareggia con l’Impero Russo per la contesa dell’Asia Centrale e dell’India, l’oceanico Impero americano che conquista l’egemonia del mondo sulle ceneri di una Unione Sovietica troppo legata alla massa continentale di riferimento. Tra Terra e Mare si è decisa e si decide il futuro della geopolitica ancora oggi: quanti conflitti sono tutt’ora spiegabili secondo questa lettura? Quanto è importante il significato del concetto di limes, di confine, nella sviluppo della politica internazionale? Quanto quello del controllo dei mari, degli stetti, degli oceani, dei colli di bottiglia? C’è un’altra creatura mitologica, che rappresenta il potere dell’Aria – e per estensione della guerra aerea, dell’aviazione, dei missili, delle bombe nucleari – che è quello dello Ziz, uccello di rara potenza e rapacità che cerca di primeggiare sia su Behemoth che su Leviathan. Superfluo sottolineare l’importanza del controllo dell’elemento dell’aria – aerei, spazio, collegamenti con antenne e ripetitori, connessione internet, raid e cacciabombardieri- dopo due decenni di terzo millennio.

In base a questo excursus risulta difficile collocare il continente africano, motore del futuro demografico, di sviluppo e sostenibilità del pianeta: pur essendo circondato dall’acqua, non è propriamente un Leviatano – non c’è una potenza militare né strategica in grado di sobbarcarsi tale compito- né Behemoth, anche se al suo interno ogni giorno si combattono battaglie per questa o quella rivendicazione territoriale. Tantomeno uno Ziz: troppo frastagliato, troppo contrapposto, troppo in preda di multinazionali che sfruttano l’occulto appoggio di governi fantoccio democratici. Fuori da queste categorie, l’Africa – del cui sviluppo in senso pieno una politica italiana ed europea lungimirante prima o poi si dovrà pur occupare: la Cina lo sta già facendo con sensibili e ottimi risultati – può essere rappresentata in un’ultima categoria Schmittiana, quello di Nomos, l’ordinamento concreto della Terra. Alle soglie dei due conflitti mondiali il Nomos era identificato con lo ius publicum europeaum; in seguito è stato in bilico tra le due sfere d’influenza americane e sovietiche scaturite dalla Guerra Fredda. Dopo la caduta del Muro di Berlino, al netto di una fase che faceva intravedere una lunga guida unipolare yankee, la razionalità della tecnica (che Schmitt definisce opportunamente “scatenata”) è diventata la più limpida colonna portante del Nomos della Terra.

E se dal grido di rinnovamento, prosperità, spiritualità e uguaglianza che viene anche e soprattutto dall’Africa si dovrà rintracciare la nuova chiamata, la nuova sfida dello spirito del tempo del mondo? L’Africa come nuovo Nomos della Terra, il globo terracqueo come ritorno ad un equilibrio sano e indissolubile tra Cielo e Terra, Sacro e Umano, la Politica degli uomini e il Regno di Dio.