di Massimo Franco
La Lega ha deciso di portare l’Italia alle elezioni anticipate. Ma non avrà come avversario l’omologo di Matteo Salvini nel Movimento Cinque Stelle, Luigi Di Maio. La sensazione è che dovrà affrontare il premier Giuseppe Conte, deciso ad andare in Parlamento per fare emergere con chiarezza le responsabilità della crisi. Insomma, tra il leader del Carroccio e l’inquilino di Palazzo Chigi si profila una guerra: alle Camere nei prossimi giorni, nelle piazze di qui al voto. Viene da chiedersi se Salvini abbia deciso di aprire la crisi perché lo vuole fortemente, o perché lo ha piegato verso questo obiettivo la Lega. Il secondo mistero è perché, se l’obiettivo erano le urne, non sia stato reso esplicito un mese fa, quando forse ci sarebbe stato il tempo di arrivare a uno scioglimento più ordinato. Ormai da tempo si assisteva a un galleggiamento simile all’agonia, resa surreale da una sorta di reality show che poteva essere risparmiato al Paese.
I l modo in cui la Lega, aiutata dal dilettantismo dei Cinque Stelle, interrompe la legislatura, ha l’aria di un azzardo figlio del risultato delle Europee e della voglia di incassare concretamente, con le Politiche, il bottino virtuale dei sondaggi. Ma forse ha pesato anche la paura del Carroccio che, rinviando tutto a dopo l’estate, la legislatura sarebbe stata ibernata con il quarto e ultimo voto del Parlamento sulla riduzione del numero dei parlamentari, previsto a settembre. Non a caso il suo ex sodale grillino, Luigi Di Maio, indebolito e delegittimato dal Movimento, indica quella riforma come obiettivo da raggiungere prima di votare.
La prospettiva che si profila è il passaggio dall’anomalia di un esecutivo composto da populisti e sovranisti dichiarati a un governo di destra euroscettico; con un’Italia condannata a affrontare la nuova Commissione in piena rotta di collisione. Dopo che il premier Conte è riuscito a sventare l’apertura di una procedura di infrazione per debito eccessivo, l’atteggiamento di Bruxelles è stato, se non indulgente, attendista. Nonostante la guerra verbale tra M5S e Lega, uniti solo nel chiedere all’Europa deroghe per potere moltiplicare le spese in deficit, sembrava che almeno sui fondamentali la maggioranza non strappasse. Adesso, questa impressione viene messa seriamente in dubbio. E sullo sfondo si intravede l’incognita dei mercati finanziari.
M5S e Lega avranno il compito non facile di spiegare al Paese come mai la gioiosa macchina da guerra populista, che doveva durare almeno una legislatura, è già andata a sbattere. La demagogia giallo-verde nelle sue variabili giudiziarie, pensionistiche, salariali, è chiamata a dare una prova di serietà finora mancata; e a fare uscire l’Italia dal vicolo cieco nel quale l’ha infilata. E senza perdere e far perdere altro tempo. Già tra qualche giorno potremmo dover constatare un effetto collaterale di questo avvitamento a colpi di tweet e comizi di piazza e di spiaggia, consumatosi finora fuori dalle aule parlamentari.
Il governo dovrà indicare il proprio candidato alla Commissione europea, e la scelta già appariva in sé problematica: sia per il cordone sanitario che le istituzioni di Bruxelles hanno annunciato nei confronti del sovranismo salviniano, sia per i dissensi tra grillini e leghisti. Con una maggioranza in frantumi, la forza e la credibilità italiane per strappare un incarico di peso saranno ridotte a poco più di zero. Ma la sensazione è che importi poco a chi dovrebbe guidare il Paese, visto il modo spregiudicato col quale i due alleati, ormai ex, si sono mostrati protesi non tanto a risolvere i problemi ma a preparare la rispettiva campagna elettorale.
C’è da sperare che una fase così convulsa e inconcludente venga archiviata dopo le elezioni in autunno. Anche perché, chiunque vincerà, con Salvini al momento favorito, dovrà poi fare una manovra finanziaria; e concordarla con la Commissione europea. A meno che non si voglia insistere su una strategia della provocazione, che farebbe felici i teorici della destabilizzazione europea. Ma per l’Italia sarebbe la certificazione dell’isolamento. Senza rendersene conto, diventerebbe lo strumento usa e getta e di strategie antieuropee, poco importa se trumpiane o putiniane, per poi essere lasciata a un destino di progressiva marginalità e declino.
Certe volte si può perdere anche vincendo, seduti su una montagna di voti che presto potrebbero volatilizzarsi o rivelarsi inutili per ridare all’Italia un baricentro nel consesso continentale. È un monito che non vale solo per M5S e Lega, ma anche per opposizioni incapaci di offrire finora un’alternativa degna di questo nome. E, alla fine, vittime delle loro miopi furbizie .