Sia chiaro: il problema non è Chiara Ferragni, il problema sono gli Uffizi. L’influencer di Cremona fa il suo mestiere, e lo fa anche assai bene. Ma la domanda è: è giusto, sensato, saggio, che la Galleria degli Uffizi metta tutta la sua arte e la sua storia al servizio della Ferragni?

Una prima risposta può darsi sul piano brutalmente monetario, e si riassume a sua volta in una domanda: quanto ha pagato la Ferragni agli Uffizi (museo dello Stato mantenuto con i soldi dei contribuenti) per utilizzarli come sfondo del suo shooting, cioè del servizio fotografico, che andrà su Vogue, e che l’ha vista usare il museo in splendida, privilegiatissima solitudine? È evidente che, trattandosi di una iniziativa commerciale a scopo di lucro, funzionale a una straordinaria macchina da soldi (la Ferragni, intendo), il prezzo deve essere stato almeno a cinque zeri. Credo che i musei di Stato dovrebbero sempre render pubblica questa informazione: per farci almeno sapere quale prezzo ha il privilegio dell’uso esclusivo dei nostri beni comuni. Così ognuno potrà almeno decidere se abbiamo venduto cara la pelle, o no.

Perché una cosa è chiara: è la Ferragni a sfruttare gli Uffizi, e non il contrario. Ed è dunque, come sempre, del tutto fuori centro l’indignata reazione del sindaco di Firenze Dario Nardella in difesa dell’influencer e di “chiunque voglia supportare la nostra cultura”. Non risulta che la Ferragni abbia fatto una donazione agli Uffizi, come si fa in America: né Botticelli ha bisogno della Ferragni per esser conosciuto nel mondo. Nonostante tutto, è (forse per fortuna) ancora la Ferragni ad arrampicarsi su Michelangelo, Raffaello e Caravaggio, e non viceversa.

Una seconda risposta è sul piano culturale, politico (nel senso più alto) e in ultima analisi morale. Il Codice dei Beni Culturali prescrive che i beni culturali non possano essere destinati a un uso incompatibile con il loro carattere storico e artistico. Ma sta al direttore, al direttore generale e al ministro di turno tradurre questa norma in pratica: e al momento ognuno fa come gli pare.

La cosa davvero inaccettabile è, però, la manipolazione. Il profilo Instagram degli Uffizi ha postato una fotografia della Ferragni davanti alla Venere di Botticelli accompagnata da questo commento, in incerto italiano: “I canoni estetici cambiano nel corso dei secoli. L’ideale femminile della donna con i capelli biondi e la pelle diafana è un tipico ideale in voga nel Rinascimento. Magistralmente espresso alla fine del 400 da Sandro Botticelli nella Nascita di Venere attraverso il volto probabilmente identificato con quello della bellissima Simonetta Vespucci, sua contemporanea. Una nobildonna di origine genovese, amata da Giuliano de’ Medici, fratello minore di Lorenzo il Magnifico e idolatrata da Sandro Botticelli, tanto da diventarne sua Musa ispiratrice. Ai giorni nostri l’italiana Chiara Ferragni, nata a Cremona, incarna un mito per milioni di follower, una sorta di divinità contemporanea nell’era dei social”. A parte l’azzeccatissimo momento internazionale in cui il direttore degli Uffizi ha scelto di rivendicare il canone ariano della donna di pelle bianca e dai biondi capelli, questo testo è culturalmente miserabile, e indegno di una istituzione culturale pubblica. E non certo perché dissacri alcunché (Botticelli, il Rinascimento o la Vespucci), ma perché pratica un uso fuorviante e distruttivo del passato, che viene ridotto a controfigura del presente. La conoscenza della storia e dell’arte serve a nutrire un pensiero critico che aiuti, specie i più giovani, a prendere le distanze dal presente in cui siamo immersi. I musei, e in generale il patrimonio culturale, sono una finestra attraverso cui conoscere altri mondi, profondamente diversi dal nostro per costumi e valori. Ma se diciamo che la Ferragni è come la Vespucci, trasformiamo quella finestra in uno specchio, che rimanda ossessivamente i nostri tic, le nostre scale di valori, il nostro divorante presente.

Diciamo che tutto è identico, invece di capire che tutto è diverso. Questo è il punto: gli Uffizi che cavalcano la fama social della Ferragni non portano la cultura alla massa (come dicono di voler fare), ma fanno esattamente il contrario, banalizzando anche Botticelli in un tormentone da social.

Molti adolescenti sarebbero corsi agli Uffizi per vedere la Ferragni, ma neanche uno andrà a visitare gli Uffizi perché c’è stata la Ferragni. Così gli Uffizi diventano esattamente quello che hanno scelto di essere: lo sfondo (momentaneo) di una influencer.