No, non è il Green pass, siamo in Italia, stando a quanto riportano le nuove “regole” un non vaccinato potrebbe comunque trovare il modo di andare al ristorante tutte le volte che vuole. Fatta la legge, si sa. Non è il Green pass, è quello che il Green pass suggerisce. È ciò che risveglierà nella nostra mente, nel nostro modo di pensare (verbo che uso, guardandomi intorno, con qualche perplessità), il frutto conclusivo, il prodotto finale della società del benessere. Quella che dagli anni ’60, a fasi alterne fino alla sua esplosione negli anni ’80, ha iniziato a proporci un modello occidentale basato sul corpo. Formoso, atletico, magro. La palestra, gli addominali, i muscoli. La mercificazione del corpo che, magari negata come prostituzione sessuale sic et simpliciter (che vergogna le puttane per strada!), ti viene spiaccicata su un cartellone pubblicitario tutti i giorni, sotto forma di modella, attore, atleta. E tutti a fare spinning o a rifarsi le tette. D’altra parte non c’è da stupirsi, le teorie naziste sulla razza non erano certo una novità assoluta in Occidente. L’eugenetica (un insieme di teorie che pretenderebbe di migliorare la società attraverso il controllo genetico) è una roba di fine Ottocento. E negli stessi anni in cui Hitler cominciava a concretizzare la soluzione finale, in America Frederick Henry Osborn proponeva un controllo della riproduzione umana volto a favorirla tra quelle fasce della società che, a dire suo, avrebbe garantito un miglioramento generale (fondamentalmente i ricchi e i belli e i sani) e a limitarla (se non addirittura a vietarla, attraverso programmi di sterilizzazione) nelle altre. In fondo, un Mein Kampf più sofisticato.

Non un semplice discorso sulle razze, figlio del darwinismo sociale. Ma un discorso che semplicemente divide tra belli e brutti, meglio: tra sani e malati. Non importa se sei tedesco o ebreo, quello che conta è se sei sano o se sei malato (ça va sans dire che spesso il sano era individuabile in alcune razze piuttosto che in altre e che praticamente sempre era individuabile in fasce sociali molto alte). Insomma il sano era quasi sempre occidentale (ovviamente soprattutto americano) e praticamente sempre ricco. Si teme che sotto traccia, quindi, certe tematiche, certe assurde convinzioni restino (d’altra parte noi oramai diamo per buona una pratica come l’amniocentesi genetica o ultimamente il test del dna fetale). Come un fiume ctonio che ogni tanto riaffiora. Difficile pensare che possa prosciugarsi, in una società dove ha trionfato l’egoismo, l’individualismo, la ricerca ostinata del proprio benessere. Nella società del social.

Cosa sono i social se non un’ostentazione pedissequa della propria individualità e del proprio benessere? Avete mai visto Instagram? Fondamentalmente può essere riassunto così: guardatemi, sono bello, ricco e felice. E va da sé, sono sano. Sto bene. Naturalmente non è quasi mai vero ma che importa? È la costanza del messaggio che conta, mica la sua verità. Forse non è un caso allora che il Covid ci abbia così confuso, ci abbia spiazzato. Perché per la prima volta, dopo ottant’anni ci ha ricordato, che esiste la malattia. E che può colpire chiunque. Anche uno bello, ricco e famoso. Che magari non schiatta però fa impressione. Perché è “contagiato”, e ovviamente non vede l’ora di dircelo (tutto faccia comunque spettacolo). E forse non è un caso, se la storia è un cerchio che tende all’infinito, che ciò che ne sussegue sia un’idea come il Green pass.

Perché non è il Green pass, è quello che il Green pass suggerisce. È ciò che risveglierà nella nostra mente: i sani (o presunti tali) possono uscire, i malati (o presunti tali) devono stare a casa, o in altri posti preselezionati (dai sani). E forse non è neanche il caso che i posti preclusi ai “malati” siano quelli del benessere per antonomasia: il ristorante, la piscina, la palestra. Perché quelli sono i luoghi del benessere, i luoghi dove imperversa Instagram. E allora state contenti umane genti, se tra qualche anno qualcuno dirà che quelli in carrozzina sarebbe preferibile che mangino in un’altra stanza, se proprio non si può fare a meno che stiano chiusi da qualche parte. Ve la siete cercata. E ricordate, come questo articolo ha provato forse stupidamente a suggerire, razza e genetica sono due concetti che spesso vanno a braccetto. Ricordatevelo, ad esempio quando col benedetto Green pass in tasca, inorridirete perché non ci si inginocchia contro il razzismo. L’ipocrisia è un virus leggero che se si aggrava diventa violenza, intolleranza, follia. Fino al punto in cui si manifesta, oramai incurabile.