La storia di un “ecomostro” di campagna

Le fotografie di Carlo Vigni riportano in primo piano la torre dei pomodori dell’ex stabilimento Idit, in Val d’Arbia
di Elisabetta Berti
Isola d’Arbia, 1961. Tutte le autorità schierate, nel tipico cerimoniale dell’Italia del boom economico, per l’inaugurazione della cosiddetta Torre dei pomodori, impianto Idit destinato alla liofilizzazione dei prodotti agricoli, principalmente pomodori e frutta. Costruito in tempi record nel bel mezzo della campagna senese e mai entrato in funzione a pieno regime, lo stabilimento Idit (Industria di disidratazione Isola Tressa) svettava per settanta metri di altezza al centro della via Francigena, e all’epoca rappresentava il simbolo del sogno della ripresa economica. Fu dismesso nel 1966 in seguito al fallimento della società, ed è ancora lì, abbandonato. Quello che oggi è conosciuto come “l’ecomostro della Val d’Arbia” è al centro della mostra fotografica “ Carlo Vigni – L’industria della polvere” aperta al Santa Maria della Scala a Siena fino al 31 gennaio. «Mi ha sempre colpito la dimensione simbolica di questa torre – dice il fotografo Carlo Vigni – un simbolo che però nulla ha dell’operosità contadina della gente della Val d’Arbia, ma di uno sfortunato e paradossale incidente capitato in pieno boom economico ». Con i suoi scatti Carlo Vigni fornisce una testimonianza visiva di un esempio di archeologia industriale che, a cinquantacinque anni di distanza dalla sua chiusura, si può dire faccia ormai parte del paesaggio toscano, ma sulla cui conservazione si vuole sensibilizzare l’opinione pubblica. Mentre infatti le parti in cemento sono ancora intatte, l’ex Idit sta collassando in tutte le altre parti, ovvero gli ambienti dove i dipendenti lavoravano, sebbene per molto meno tempo del previsto. Per la struttura, che oggi appartiene ad una società privata, non ci sono al momento progetti di ristrutturazione o valorizzazione. « Quel che resta dell’ex stabilimento Idit – dice Carlo Nepi, curatore della mostra insieme a Francesca Sani – continua ad essere invariabilmente segnalato ai primi posti nella lista degli ecomostri nazionali stilata dalle varie associazioni ecologiste e paesaggistiche».
I prodotti agricoli avrebbero dovuto essere trattati con un processo di disidratazione di brevetto tedesco, che trasformava il prodotto naturale in prodotto secco da conservare in scatola. Ma quel progetto fu presto superato e divenne da subito impossibile sostenere la produzione: la conseguenza fu chee nel ‘66 l’impianto chiuse definitivamente.
«Il simbolo di questo disastro è soprattutto la torre – continua il curatore – inizialmente coperta di vetro e poi, piano piano, proseguendo nell’inevitabile degrado spogliata di ogni rivestimento e e di tutte le parti fragili e deperibili fino all’essenzialità della sola struttura » . Con sguardo documentario, ma quasi affettuoso verso una presenza che è per lui familiare fin dall’infanzia, Carlo Vigni ha immortalato il disfacimento della struttura, l’accumulo dei detriti, l’inflitrarsi e l’infittirsi della vegetazione. Un pezzo del patrimonio visivo degli abitanti della provincia di Siena e di milioni di turisti che è sempre più una minaccia per l’ambiente.
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