La spinta del Tesoro, chiudere in tempi stretti. L’obiettivo è evitare che i costi salgano

 

di Enrico Marro

Impegni sugli esuberi e investimenti per il territorio

ROMA Daniele Franco aveva messo nel conto che a molti, anche nella maggioranza, l’ipotesi di cedere il Monte dei Paschi di Siena a Unicredit non piacesse. Ma, al momento, secondo il ministro dell’Economia non c’è una soluzione migliore, cioè capace a un tempo di limitare i danni per i contribuenti e di garantire la stabilità del sistema. Lo spiegherà lui stesso domani in audizione nelle commissioni Finanze riunite di Camera e Senato.

Franco sa che l’operazione insospettisce i 5 Stelle, al punto che avrebbero voluto che l’audizione si svolgesse nella commissione parlamentare d’inchiesta sulle banche, presieduta dalla loro Carla Ruocco. Così come sa che per la Lega e il centrodestra «la svendita di Mps», come la definiscono, offre l’occasione per attaccare il Pd e la sua presa sulla banca senese, di cui è ora presidente Pier Carlo Padoan, lo stesso che da ministro dell’Economia del governo Renzi gestì nel 2017 il salvataggio del Monte con un’operazione da 5,4 miliardi e l’acquisizione del 64,2% del capitale. Infine, Franco è consapevole che la ritirata dello Stato sta partendo, manco a farlo apposta, mentre si avvia la campagna elettorale per il seggio da deputato lasciato vacante dallo stesso Padoan, eletto proprio nel collegio che comprende Siena e dove ora si è candidato il segretario del Pd, Enrico Letta. Ma una soluzione va trovata lo stesso.

Innanzitutto perché il governo deve, entro la fine dell’anno, presentare a Bruxelles il piano per privatizzare l’istituto, secondo gli impegni presi con la stessa commissione Ue (anche se c’è chi, come i 5 Stelle, preme sul premier Mario Draghi affinché negozi una proroga). E poi perché, in questi anni, i conti di Mps sono peggiorati e, se non si interviene per tempo, i costi per i contribuenti rischiano di aumentare. Questo il contesto di cui dovrebbe tener conto anche chi nella maggioranza ha preso posizioni molto critiche, spiegano al Tesoro, anche perché la crisi del Monte «non è scoppiata in questi giorni o in questi mesi, ma viene da lontano». Il governo Draghi, aggiungono, ha ereditato questa situazione e ha il dovere di intervenire prima che sia troppo tardi, limitando i danni ed evitando derive tipo Alitalia, con continui esborsi di denaro pubblico. Insomma, ulteriori proroghe dell’uscita dello Stato dal Monte rischiano solo di aumentare il conto da pagare.

L’audizione

Domani l’audizione del ministro Franco.

La rete conserverà il logo storico Mps

Certo, questo lo sa anche Unicredit, che infatti ha posto le sue condizioni da posizioni di forza. Ma Franco ribadirà in audizione che il governo non cederà su almeno due punti. Primo, la tutela dei dipendenti di Mps, oggi 20 mila, di cui circa 3 mila a Siena. Parlare come si sta facendo di 5-6 mila esuberi è prematuro, secondo il ministro. E in ogni caso i bancari hanno un fondo per i prepensionamenti (fino a 7 anni prima) che ha ancora capienza e che, se necessario, può essere rafforzato con trasferimenti dal bilancio pubblico, come avvenuto in passato. Secondo, la tutela del marchio Mps, cioè della banca più antica del mondo (1472): si ipotizza così che la rete degli sportelli, almeno in parte, potrebbe mantenere il logo del Monte, che non verrebbe così cancellato da quello di Unicredit. Inoltre, a supporto dell’eventuale accordo con Unicredit, il governo si impegnerà su un terzo punto: la tutela del territorio, con interventi pubblici a sostegno dell’economia locale, per esempio in settori d’eccellenza come il farmaceutico, per compensare gli effetti negativi sul territorio che potrebbero derivare dall’assorbimento di Mps in una banca internazionale come Unicredit.

Difficile che queste rassicurazioni del ministro bastino a chi, anche nella maggioranza, vuole capire i costi dell’operazione per il bilancio pubblico. Finora sono circolate stime di un possibile esborso tra i 5 e i 10 miliardi, tenendo conto dei crediti incagliati e del contenzioso legale di cui Unicredit non vuole farsi carico e dell’aumento di capitale necessario a Mps. «Cifre al vento», taglia corto a Palazzo Chigi chi conosce bene il dossier. La trattativa, si osserva, non è ancora partita ed è prematuro fasciarsi la testa. In ogni caso, questi costi sarebbero molto inferiori a quelli che lo Stato dovrebbe sopportare se Mps fallisse: «Per questo è importante fare presto».

 

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