La Segre ai ragazzi “I nazisti erano i bulli di allora”

di Zita Dazzi
MILANO — «Siete fortissimi, siete portatori di vita». «Non cadete nell’indifferenza e siate capaci di pietà, di proteggere i vostri genitori quando sono deboli e soffrono». Imparate a «fare silenzio qualche volta», a «stare soli, magari di sera, con la vostra coscienza per prendere le scelte giuste ». Provate qualche volta a capire «che cosa vuol dire il freddo, la fame, soprattutto quando fate il viaggio della Memoria. Non si vada mai “in gita” ai campi di sterminio».
Che farà un discorso «come una nonna ai nipoti», Liliana Segre, 90 anni, lo dice subito, quando si presenta ai 2.400 studenti di tutta la Lombardia riuniti a Milano, al teatro degli Arcimboldi, nella periferia moderna e universitaria della Bicocca. Quello che intona è un potente inno alla vita, in collegamento streaming con migliaia di classi di tutta Italia. Spiega che «quelli di Auschwitz erano i bulli di allora. Non gli odiatori da tastiera di oggi, ma professionisti dell’odio. Uomini normali che si ritenevano superiori. Così sono i bulli: bisogna compiangerli. È il bullo che va curato, non la vittima, che deve essere coraggiosa e denunciare, mentre gli altri non devono essere indifferenti e stare col bullo solo perché lui urla più forte».
Un discorso fatto davanti alla ministra dell’Istruzione Lucia Azzolina, che prende un impegno solenne: «Siamo noi la sua scorta, tutta la scuola si onora di essere la scorta contro ogni rigurgito negazionista e fascista e contro ogni odio e nella difesa della Costituzione italiana».
La senatrice a vita inizia il racconto dai suoi 13 anni, quando venne espulsa per le leggi razziali dalla scuola media di via Ruffini, nell’indifferenza delle sue amichette. Guardando a quella montagna di dolore riesce a sorridere: «A me dispiace da matti avere novant’anni e sapere che ne ho pochi ancora davanti. Anche se gli odiatori ogni giorno mi augurano di morire, mi dispiace tantissimo di dover abbandonare la vita. Perché la mia vita mi piace moltissimo ». I ragazzi la ascoltano in un silenzio assoluto per un’ora e mezza, prima di dedicarle una lunga standing ovation con i cuori disegnati sui cartelli gialli. Liliana declina il suo racconto in una chiave contemporanea: «Oggi c’è la tendenza a tenere gli adolescenti sotto una teca, ma io voglio dirvi, ragazzi: voi avete tutta la forza della gioventù. Dovete imparare che si può aspettare domani e non avere subito tutto. Che non bisogna mai sprecare il cibo, perché il cibo è sacro, come sa chi ha patito la fame. Dovete imparare a voler bene e l’importanza di parole come fratellanza e pietà. Siete più forti dei vostri genitori: non aggrappatevi a loro, ma siate voi forza per loro».
La storia della bambina che viaggia nel carro bestiame assieme agli ebrei che piangono e pregano, tenendo per mano suo papà che finirà nel camino, strappa le lacrime della platea. Lei sa quali episodi narrare per farsi capire: «Gli amici veri sono quelli che ti stanno vicino quando sei solo, quando sei in disgrazia, povero, escluso. Non quando sei ricco e famoso. Noi ne avemmo pochissimi, eroici. Grazie a loro ho qualche ricordo non tragico, che mi ha aiutato a continuare a sperare e a capire che l’essere umano è variegato».
Il suo è un messaggio di speranza, un auspicio per il futuro: «Quando sono diventata nonna ho imparato a non odiare più nemmeno i ragazzi tedeschi che ci avevano insultato, che avevano bevuto il nazismo nel latte delle loro madri. Mi scoprii diversa, pronta a fare il mio dovere di testimone senza usare mai la parola odio e vendetta, solo così ero utile, A 14 anni, dopo la liberazione dal campo, avrei potuto sparare al mio carnefice in fuga. Ma capii che io non ero il mio assassino, che non avrei mai potuto uccidere nessuno. Non raccolsi quella pistola e da quel momento sono diventata quella donna libera e di pace che sono adesso».
www.repubblica.it