Claudio Chianese

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Scrive Gramsci, nel suo lessico marxista, che dire la verità è un’azione rivoluzionaria perché prepara “la massa all’esercizio del potere”. Ma adesso che Gramsci, e non solo le sue ceneri, l’abbiamo sepolto da un pezzo, c’è rimasto giusto Chesterton: “fuochi verranno attizzati per testimoniare che due più due fa quattro”. Perché ad essere rivoluzionaria non è più la verità, ma l’ovvietà: al momento, l’ovvietà che il professor Crisanti ha detto a Focus Live. Il più elementare principio di precauzione: prima di assumere un farmaco un cittadino ha il diritto di accedere a tutti i dati necessari per una decisione informata. Davvero, solo questo. E, del resto, non c’è nemmeno bisogno d’essere del mestiere per rendersi conto che enormi interessi politici ed economici spingono per lo sviluppo rapido di un vaccino anti-Covid: ragione sufficiente per un supplemento di prudenza.

Chissà se si aspettava, Crisanti, che la sua prudenza fosse offensiva. Eppure sembra esserla al punto che si è riunita la banda dei virologi e sono partite le mazzate. Sorvoliamo sulla royal rumble fra accademici che va avanti da mesi, smargiassa come il wrestling ma meno divertente, invece cerchiamo di recuperare dal bordo del ring almeno una riflessione interessante. La introduce proprio Crisanti, quando denuncia al Corriere che “i custodi della ortodossia scientifica non ammettono esitazioni o tentennamenti, reclamano un atto di fede a coloro che non hanno accesso a informazioni privilegiate”. Oltre il caso Crisanti, che può passare per bega da cortile universitario, il tribunale dell’Inquisizione è in assise permanente, e non si occupa certo di verità. Questo è il primo errore: pensare che i conflitti fra scienziati riguardino esclusivamente la scienza. Riguardano soprattutto il potere, come ogni interazione umana.

Abbandoniamo, per quanto confortanti siano, due miti contrapposti: uno, quello di una comunità di sapienti votata al progresso dell’umanità; l’altro, il genio ribelle che sconvolge con le sue intuizioni la cricca dei vecchi sclerotici. La realtà, com’è triste abitudine della realtà, appare più scialba: un’accademia pachidermica produce infinite, borgesiane biblioteche di ricerche non particolarmente solide né rilevanti e marginalizza, per disinteresse o corporatismo, le idee più eterodosse – che, però, novantanove volte su cento sono sbagliate. La scienza non si sviluppa grazie alle istituzioni accademiche, ma nonostante: i baroni della generazione precedente muoiono e sulle loro poltrone si siedono successori di vedute più ampie; un’eresia ogni tanto apre una crepa nei paradigmi consolidati, e si comincia a intravedere qualcosa di nuovo. Dal momento che ci troviamo a distruggere miti, ricordiamo en passant come Feyerabend tratta il mito fondativo della scienza moderna, il processo a Galileo:

Messa a confronto con quei fatti, teorie e standard, l’idea del movimento della Terra era assurda. Uno scienziato moderno non ha alternative in proposito. Non può attenersi ai suoi standard rigorosi e nello stesso tempo lodare Galileo per aver difeso Copernico. […] Gli aristotelici, non diversi in questo dai moderni studiosi che insistono sulla necessità di esaminare vasti campioni statistici o di effettuare «precisi passi sperimentali», chiedevano una chiara conferma empirica, mentre i galileiani si accontentavano di teorie di vasta portata, non dimostrate e parzialmente confutate. […] L’atteggiamento dell’American Medical Association verso i professionisti che non ne fanno parte è rigido come quello della Chiesa verso gli esegeti laici […]. Esperti, o ignoranti che hanno acquisito il riconoscimento formale di una competenza, hanno sempre cercato, spesso con successo, di assicurarsi diritti esclusivi in ambiti particolari. Qualsiasi critica al rigore della Chiesa romana è valida anche nei confronti dei suoi moderni successori che hanno a che fare con la scienza. […] Il giudizio degli esperti della Chiesa era scientificamente corretto e aveva la giusta intenzione sociale, vale a dire proteggere la gente dalle macchinazioni degli specialisti. Voleva proteggere la gente dall’essere corrotta da un’ideologia ristretta che potesse funzionare in ambiti ristretti, ma che fosse incapace di contribuire a una vita armoniosa.

Paul Feyerabend 

Quando Locatelli e Bassetti definiscono le parole di Crisanti inopportune, gravissime, da censurare, si stanno, in buona sostanza, preoccupando per la vita armoniosa. Non ci sono i dati, e dunque non c’è nessun dibattito scientifico: solo una parte che dubita e un’altra che rassicura. Si parla, quindi, dell’impatto sociale di certe dichiarazioni: Locatelli e il CTS, proprio come i giudici dell’Inquisizione, hanno paura che la gente perda la fede. Parole loro:

in un Paese che già di per sé si connota a volte per qualche perplessità, dubbio, o ostilità a considerare le strategie vaccinali è bene ricordare sempre il riverbero a livello mediatico che certe affermazioni possono avere.

Qui sta la differenza fra il paradossografo greco, il matematico per sfizio, l’aristocratico appassionato di piante esotiche, e lo scienziato moderno: una differenza non di capacità o risultati, ma di potere. Lasciata la torre d’avorio, gli scienziati oggi camminano fra le gente – con le scarpe rialzanti, ma insomma – la proteggono dall’errore, la tranquillizzano, la guidano: insomma esercitano quello che Foucault definisce potere pastorale, lasciato sul terreno dalle istituzioni religiose dopo il Medioevo. La grottesca iperpresenza mediatica di un pugno di medici durante la pandemia non si giustifica solo con la notiziabilità dei pareri autorevoli, ma è il riflesso di una più profonda ansia collettiva. I medici, in tempo di Covid, non fanno solo da medici come ci si aspetterebbe: fanno da preti. Giudicano obliquamente il potere politico, lo legittimano, spacciano teodicea alla gente, cioè la certezza che il mondo, nonostante tutto, sta andando nel verso giusto, le misure restrittive sono necessarie, il vaccino è sicuro.

Mentre Gramsci parla della verità come di uno sforzo collettivo, “generata spontaneamente dall’esperienza viva e storica”, la verità che arriva dall’alto è sempre fragile, non ha sistema immunitario, e dunque rischia ogni volta che viene messa a dibattito. Così, un certo establishment considera pericolose, e su queste basi ha ragione, le parole di Crisanti. Intendiamoci, non stiamo prendendo una posizione sul contenuto tecnico dello scontro – che è, appunto, quasi inesistente – né dicendo che i medici mentono e i vaccini ci ammazzeranno. Ci sono buone ragioni per il consueto, onesto, scetticismo, ma poche per il catastrofismo. Non è questo il punto, perché il Covid passa ma l’affamata disperazione del mondo moderno resta. Viktor Frankl parla di “vuoto esistenziale” come di un fenomeno caratterizzante del nostro tempo:

All’inizio della storia, l’uomo ha perso alcuni degli istinti che definiscono il comportamento animale. Questa sicurezza, come il paradiso, gli è preclusa per sempre; l’uomo deve compiere delle scelte. Per giunta, l’uomo ha sofferto di recente la perdita delle tradizioni. Nessun istinto gli dice cosa deve fare, e nessuna tradizione gli dice cosa è opportuno che faccia; a volte non sa nemmeno cosa vuole fare. Invece, desidera solo fare quello che fanno gli altri – conformismo – o quello che gli altri gli dicono di fare – totalitarismo. –

Viktor Frank

Allora, sempre secondo lo psichiatra austriaco, a motivare l’esistenza umana non è la volontà di piacere – che la nostra modernità suscita, soddisfa e suscita di nuovo – ma la volontà di significato. Scomparsa l’educazione collettiva alla religione, relativizzato come esperienza edonistica il significato-nell’amore, attivamente combattuto il significato-nella-sofferenza, la scienza, con la sua promessa di possibilità infinite e infinito potere, almeno rimuove il problema. Solo che la scienza non è una promessa, non è un’istituzione, un partito, uno stile di vita, il club degli intelligenti: è uno strumento. Lo strumento che si usa per costruire modelli approssimativi di fenomeni naturali. Nient’altro. Ci hanno raccontato la scienza con un’infinità di narrative, quando bastava “star zitti e calcolare”. Da una parte, si tratta di ammettere che il rogo degli idoli non può essere selettivo, che non si torna all’infanzia, che la meraviglia e il significato non sono custoditi negli scrigni della natura e non ci salverà trovare le chiavi; dall’altra, di liberare gli scienziati dal ruolo sociale di maestri, dalla ridicola responsabilità di evitare opinioni scomode – quella responsabilità richiesta a Crisanti – e restituirli alla prassi scientifica, che funziona meglio quando le idee si propongono anarchicamente e si indagano analiticamente. Qui sta la differenza fra esperti ed esperti di troppo.

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