La nostra casa brucia meno

Crisi interconnesse. La riduzione del traffico ha abbassato il livello di azoto e polveri sottili Ma non si può certo combattere inquinamento e riscaldamento globale con un virus letale

 

Patrizia Caraveo

Dopo che il 2019 aveva fatto registrare un picco nelle emissione di anidride carbonica, il gas serra per eccellenza, i dati dei primi mesi del 2020 ci mostrano una situazione molto diversa. La Cina, primo inquinatore del mondo, a causa del massiccio utilizzo del carbone per la produzione di energia elettrica, ha diminuito le sue emissioni del 25%. Ancora più marcata la decrescita del biossido di azoto, indicatore del traffico perché è prodotto dai motori diesel.

Le immagini dei satelliti di osservazione della Terra non lasciano dubbi. L’avevamo già visto succedere nel 2008, a causa della crisi economica che aveva rallentato la produzione industriale cinese, ma non era stato né così intenso né così rapido.

Purtroppo stiamo vedendo l’effetto della drammatica epidemia di coronavirus. La chiusura di intere province cinesi ha azzerato spostamenti in auto, viaggi in aereo, consumo di energia elettrica nelle fabbriche chiuse.

La cosa si è puntualmente replicata con qualche settimana di ritardo in Itali e nel resto d’Europa. Anche noi abbiamo adottato la filosofia #iorestoacasa e la drastica riduzione del traffico ha abbassato il livello di inquinamento da biossido di azoto e da polveri sottili. Il satellite Sentinel 5P dell’Agenzia Spaziale Europea ha documentato la diminuzione del gas su tutta la Pianura Padana e, negli scorsi giorni, ha visto lo stesso effetto su Los Angeles, San Francisco, Seattle, New York.

Una terribile crisi sanitaria, con pesantissime ripercussioni economiche, si rivela una buona notizia per il pianeta?

Nemmeno i più accesi sostenitori dell’attuazione degli accordi di Parigi per mitigare il riscaldamento globale possono gioire per la situazione che stiamo vivendo. Tuttavia è interessante fermarsi un attimo a considerare come queste due crisi siano percepite dalla gente. Da anni parliamo del problema del riscaldamento globale causato dalla massiccia immissione di gas serra nell’atmosfera, eppure, nessuno sarebbe disposto ad accettare la filosofia state-a-casa per limitare le emissioni in condizioni normali. Adesso non abbiamo scelta, ma è evidente che giudichiamo in modo diverso la crisi sanitaria rispetto a quella climatica.

Nei video che si trovano in rete gli intervistati dicono che le misure draconiane sono necessarie perché il coronavirus è percepito come un pericolo immediato che può essere scongiurato, almeno in parte, con le misure di contenimento mentre per il cambiamento climatico non c’è la stessa fretta. In altre parole, di coronavirus si può morire adesso, di cambiamento climatico, invece, si morirà (forse) tra qualche decennio, quindi non è il caso di preoccuparsi troppo.

In verità, questa percezione è sbagliata. Di cambiamento climatico si muore adesso, solo che non fa così notizia. Un documento prodotto da Public Health England, per esempio, dice che l’ondata di calore dell’estate 2019, con massimi che hanno infranto i precedenti record facendo registrare oltre 40° in diverse località del Regno Unito, ha causato un eccesso di mortalità di poco inferiore alle 900 unità. Meno della metà della catastrofica (e torrida) estate del 2003 che, sempre nel Regno Unito, aveva causato oltre 2300 decessi, e aveva fatto nascere un piano di emergenza anti-caldo. L’estate scorsa, si è arrivati al livello di allarme 3, l’ultimo prima della dichiarazione dello stato di emergenza, e vedere il grafico dei picchi della mortalità collegati con le due ondate di calore, che sono state registrate a luglio e ad agosto, è impressionante.

Legato indissolubilmente all’emissione di gas serra, causa del cambiamento climatico, è l’inquinamento dell’aria e, purtroppo, anche di inquinamento si muore. Adesso. In Cina si stimano 1 milione di morti premature all’anno a causa dell’inquinamento da polveri sottili che sono collegate all’asma oltre che a problemi respiratori e cardiaci. Che una diminuzione, anche momentanea, dell’inquinamento sia benefica è stato visto in occasione delle Olimpiadi di Pechino del 2008. Per migliorare la qualità dell’aria, solitamente pessima a causa delle emissioni di milioni ai auto e della conformazione geografica che favorisce il ristagno, a Pechino erano state chiuse le fabbriche e limitato il traffico delle auto. Il miglioramento della salute cardiovascolare dei volontari che si erano sottoposti a test prima e dopo sono risultati evidenti.

È stato stimato che l’effetto di due mesi di minor inquinamento sulla Cina potrebbe avere salvato la vita di 4mila bambini e di 73mila anziani. Sono numeri impressionanti, che fanno riflettere, anche se nessuno può neanche lontanamente immaginare che una crisi sanitaria di queste proporzioni possa essere be nefica per la salute pubblica. Non si combatte l’inquinamento ed il riscaldamento globale con un virus che sta obbligando miliardi di esseri umani a non uscire di casa.

La cura shock che stiamo facendo, però, ci potrebbe indurre a cambiare alcuni dei nostri comportamenti a beneficio della salute del pianeta. Mentre è evidente che la chiusura delle fabbriche e l’arresto della produzione non è una soluzione perseguibile, limitare gli spostamenti, grazie allo smart working e alle video conferenze, potrebbe essere un’esperienza da ripetere quando tutto sarà tornato come prima. L’importante sarà non dimenticare la lezione che abbiamo imparato in questi momenti drammatici. Le azioni di ognuno di noi contano per la salute pubblica e per quella del pianeta.

 

ansaFontane di Roma. Due anatre nella Barcaccia del Bernini in una Piazza di Spagna completamente deserta