La normalità del male e il suo vaccino

MASSIMO GIANNINI

Prigioniera dei fantasmi della Storia, stordita dai miasmi della cronaca. Nel funerale di Willy, nelle lacrime dolenti della sua famiglia, nelle parole magniloquenti della politica che cerca inutilmente un posto dentro quel dolore irreparabile, si specchia un’Italia ammalata e ammalorata. Non c’è solo il Covid, che fiacca e minaccia il corpo e lo spirito della nazione. Sono tanti i virus che corrono nelle vene di un Paese che fa i conti con il Male. E a sconvolgerci non è la sua fin troppo abusata “banalità”, su cui scrisse Hanna Arendt. Piuttosto è la sua “normalità”. Una normalità vissuta e consumata quasi ogni giorno e ogni sera dai “nostri ragazzi”, per le strade e le piazze, i bar e le discoteche, i circoli e le palestre. Dalla torcida negli stadi alla movida nei locali. L’agente patogeno cambia le abitudini, ma il rischio è sempre lo stesso. Anzi, cresce. Basta un niente, un involontario spintone o un provocatorio “ah bella”, e tutto diventa possibile. La sfida, la rissa, la morte. Dipende dal fato, o dal caso: fate voi. Comunque, la violenza. La sopraffazione dell’altro. Meglio se più debole. Meglio se diverso. Meglio se donna.

Così è normale, a Colleferro, che un bravo figlio di 21 anni venga massacrato, calpestato e infine giustiziato da un branco di killer 25enni a colpi di una strana “arte” ancora inopinatamente definita “marziale”. Ed è normale che chi assiste alla scena non chiami i soccorsi arrivati con un ritardo forse fatale, e che i parenti-serpenti degli assassini obiettino “ma in fondo che hanno fatto, hanno solo ammazzato un extracomunitario”. È normale, a Bari, che un teppista 26enne blocchi il traffico, scenda dalla sua auto e pesti a sangue il suo rivale di fronte ai passanti, e che la vittima muoia in ospedale tre giorni dopo, senza neanche aver rivelato ai medici le ragioni del suo ricovero. È normale, a Matera, che due ragazzine inglesi vengano abusate in una villa da quindici 18enni.

E che una delle invitate dica “però adesso non chiamate la polizia se no rovinate la festa”. È normale, a Milano, che una donna di 34 anni venga violentata tra i grattacieli di Porta Nuova, o che la stessa sorte tocchi a una 19enne romana sulla spiaggia del Circeo, in una replica in minore dello stupro mortale di Rosaria Lopez e Donatella Colasanti, perpetrato in un altro brutto settembre di 45 anni fa.

“Ora pene esemplari” invoca Conte accorso alle esequie insieme alla Lamorgese e a Zingaretti. Abbracciando i genitori di Willy, il premier dice “l’Italia è con voi”. Giusto. Ma quale Italia? Che Italia è, quella che convive con questi orrori e questi errori? Quella che fa i conti ogni giorno con un disagio e un rancore sociale che covano. Quella che ha espropriato il futuro ai suoi giovani, abbandonati con poca istruzione e poca formazione a una precarietà permanente nella vita e nel lavoro. Quella che li lascia andare alla deriva, nei giorni vuoti e nelle notti piene di superalcolici, botte, cocaina. Quella che non sa più educare né proteggere i suoi figli, come scrive Carlo Verdelli sul Corriere della Sera. Non indulgo alle opposte retoriche. Quella progressista e innocentista, che vuole i “ggiovani” sempre vittime della società e del “sistema”. O quella reazionaria e colpevolista, che rimpiange “i bravi ragazzi” di una volta. Sono tutte e due sbagliate. Vuoi perché per fortuna ci sono tanti giovani seri e responsabili, che ogni giorno si sbattono per inventarsi il domani: Willy era proprio uno di questi. Vuoi perché con il “si stava meglio quando si stava peggio” non si va da nessuna parte: Marco e Gabriele Bianchi, fratelli-coltelli di Colleferro, non sono un inedito, come dimostra un’altra mattanza senza senso, quella di Emanuele Morganti, ad Alatri nel 2017.

Ma la frequenza suggerisce un’escalation che inquieta. E qui c’è un tragico scherzo del destino. Negli stessi giorni in cui la Generazione Zero secerne tanta schiuma della terra, il governo affronta il dramma del ritorno a scuola. Una scadenza cruciale, in agenda da mesi e tuttavia contraddistinta da improvvisazione, disorganizzazione, strumentalizzazione. Sappiamo bene quanto sia complicata questa emergenza per tutte le democrazie europee. Ma dall’inizio della pandemia c’è stato il tempo per organizzare meglio le cose. Per evitare che all’appuntamento mancassero 5 mila aule, 2 milioni e mezzo di banchi, 60 mila cattedre, 77 milioni di mascherine. Questo caos lo conferma: la scuola è da decenni il paradigma del Grande Fallimento italiano. La scuola che non è parcheggio antropologico in cui stazionano pro-tempore i futuri disoccupati, ma il luogo in cui si formano i cittadini di domani. La scuola che è istruzione, ma anche educazione. La scuola che è storia, e dunque memoria. Liliana Segre, in un’intervista al nostro Paolo Colonnello, ha detto che l’assassinio di Willy è “un naufragio della civiltà” e che “questi fatti sono il frutto della mentalità fascista che ancora ci pervade”. La stessa cosa, il giorno dopo, l’ha scritta sulla nostra prima pagina un’altra grande italiana, Dacia Maraini: “C’è sempre chi crede nella forza come unica ragione per superare, vincere, dominare gli altri… Il fascismo come fenomeno politico non c’è più, ma la cultura fascista c’è ancora”.

Siamo sommersi da questa onda nera d’odio. Il culto del corpo e il suo uso come arma. L’idea che “l’altro” sia nemico e vada annientato. Il mito dell’invincibilità e del gesto inimitabile che la impone. Il totale spregio delle regole della convivenza civile, della condivisione, della solidarietà. La tensione alla ricchezza facile e all’ostentazione dei suoi simboli. Il rifiuto del dovere, del sacrificio, del confronto. È “fascismo”, tutto questo? No, se per fascismo intendiamo un altro Duce alle porte e le camicie nere già in marcia su Roma. Si, se per fascismo intendiamo una sub-cultura della forza e dell’intolleranza, che attinge al pozzo di una politica inqualificabile che usa spesso la violenza verbale, e alla discarica di una Rete incontrollabile che abusa sempre della rabbia esistenziale. Se questo è il virus, la scuola è il vaccino. Quello contro il Covid, prima o poi, arriverà. L’altro, purtroppo, è ancora lontano.

 

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