LA «GRANDE SIENA», LE CHIMERE E I VECCHI SCHEMI

di Roberto Barzanti

In un disincantato editoriale uscito nella cronaca senese de La Nazione (3 maggio) Pino Di Blasio liquida il tema della «Grande Siena» che il Corriere Fiorentino ha riportato alla ribalta come una «eterna chimera», sognata con pervicace nostalgia da ex sindaci. Liquidazione davvero fuori tempo di una prospettiva che chiede piuttosto di essere approfondita per disegnare una mappa programmatica del dopo-pandemia all’altezza delle sfide che Siena dovrà affrontare. E i colloqui, gli interventi, i suggerimenti già registrati hanno già offerto o ribadito contenuti sui quali riflettere e lavorare: è l’inizio di un viaggio da proseguire, senza restringerlo ad una dimensione puramente amministrativa o politicistica. Di Blasio cade in una palese contraddizione quando afferma che per un serie di servizi e di iniziative economiche lo spazio di Siena si distende già, per frammenti, oltre le antiche mura e aggiunge: ciò che manca è la politica. Riconoscendo, quindi, che è mancata e manca una direttrice sicura, una governance che punti su priorità ben individuate e organizzi una questione da non impostare seccamente in termini urbanistici e territoriali o tanto meno come problema di ridefinizione di confini. Si sa bene, purtroppo, quali sarebbero gli ostacoli da affrontare. Anche se un assetto più moderno e robusto (anche demograficamente) di Siena e, intanto, dei cinque Comuni coinvolti è tutt’altro che secondario per creare un ambiente diffuso più saldo e attrattivo per residenti e nuove presenze. Una città non è una piattaforma digitale. Si tratta di qualificare il quadro in discussione puntando su alcune priorità che la crisi rende più che mai attuali. Ci torneremo quando il viaggio sarà più avanzato. Gli ambiti prevalenti sono individuati: patrimonio artistico, ricerca scientifica, area biomedicale, scienze della vita, scambi internazionali, filiera dall’agroalimentare nelle sue varietà. Un città fisica di fatto più ampia, ecologica per vocazione, verde e costruita, risponde alla domanda di socievole appartenenza e ariosa salubrità oggi più rare e più desiderate. Per condurre in porto con costanza una linea di lungo respiro è necessario un coeso ceto dirigente. Ciascuno farà la sua parte, non ubbidendo a diatribe retrospettive o a rancori anacronistici. Che vuol dire che i sindaci di una Grande Siena non chiusa in se stessa sono tutti espressione di una medesima matrice partitica ma che proprio il sindaco del capoluogo, Luigi De Mossi, è di un «altro colore»? Se si crede davvero che la ricetta per una ripresa innovatrice che guardi alle cose da fare, ai progetti-chiave, agli investimenti da reperire, al sostegno dell’intraprendenza giovanile, a relazioni internazionali da moltiplicare sia un civismo inclusivo occorre uno spirito di concretezza che abbandoni decrepiti schemi. La diversità delle idee non è un fastidio da evitare in nome di un arrogante «pensiero unico». Istituire collaborazioni sistematiche in grado di favorire una visione policentrica in un luogo ricco di rare opportunità non è una chimera da irridere opponendole il presunto realismo di chi la sa lunga.

 

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