La genesi economica della siccità.

Attribuire al cambiamento climatico la colpa alla carenza d’acqua è una scorciatoia troppo comoda. In un’estate nella quale, finora, il quadro meteorologico non è quello né della canicola né – se non in aree limitate – quello di una totale mancanza di pioggia, l’attuale siccità deriva più da fattori umani che dall’aumento di anidride carbonica nell’atmosfera. I fattori umani hanno principalmente a vedere con l’economia e sono essenzialmente tre. Il primo, e più importante nell’immediato, riguarda la spesa pubblica: un decennio e più di tagli, spesso «lineari» – ossia indipendenti dalla qualità della spesa – dei bilanci degli enti locali ha prodotto pesanti riduzioni alle manutenzioni di ogni tipo. Per conseguenza, non solo le strade ma anche gli acquedotti sono piedi di buchi; sulle strade diminuisce la velocità e cresce il logorio dei veicoli, per gli acquedotti, aumentano le perdite di acqua lungo il percorso. Nel 2014 il Censis definiva gli acquedotti «infrastrutture colabrodo» e stimava al 32 per cento le perdite d’acqua, notando altresì che l’acqua «pubblica» italiana era la meno cara d’Europa ma che la gente non si fidava e il consumo di acque minerali era prossimo ai massimi europei. Una più recente stima dell’Istat colloca le perdite degli acquedotti a oltre il 38 per cento per il totale dei capoluoghi di provincia. Oltre alla carenza di manutenzioni (e di nuovi investimenti) è possibile che agiscano interessi specifici al mantenimento della situazione attuale: esistono a livello locale, nelle zone cronicamente colpite dalla carenza idrica, fiorenti attività private di distribuzione di acqua potabile mediante autobotti. Un altro fattore economico condiziona potentemente la scarsità d’acqua, soprattutto al Nord: i lunghi anni di crisi e la riduzione strutturale del peso dell’industria hanno fatto scendere fortemente il consumo d’acqua per le lavorazioni industriali e, per conseguenza, nel 2015 il livello delle falde idriche che si trovano sotto la Pianura Padana era risalito al punto che la stazione milanese di Porta Garibaldi fu allagata a causa di queste falde. Le difficoltà idriche attuali sono anche il risultato della maggior domanda d’acqua da parte delle industrie a seguito della ripresa economica, un indicatore importante dell’inadeguatezza delle infrastrutture italiane, nelle quali si è investito poco o nulla, a sostenere la ripresa economica in atto. Anche il consumo agricolo deve essere riportato in una più generale «politica dell’acqua»: con l’acqua a buon mercato, l’agricoltura, che ne è di gran lunga il maggior utilizzatore, ha poi orientato la sua produzione verso colture che ne usano grandi quantità. Il terzo fattore economico è rappresentato dai consumi delle famiglie (le quali, peraltro, contribuiscono solo per un quinto al totale mentre i tagli tendono a concentrarsi in questo settore). In Italia non esiste una «cultura dell’acqua», ben presente, al contrario, nel nostro passato agricolo, nel quale l’acqua era considerata un bene prezioso e non andava sprecata. Oggi invece il prezzo pagato è spesso molto inferiore al costo e l’acqua non ci sembra affatto preziosa. Per conseguenza, non ci si deve stupire se ciascun italiano mediamente consuma quasi 250 litri d’acqua a testa al giorno, contro poche decine di litri di alcune zone dell’Africa: lavatrici e lavastoviglie vengono fatte funzionare semivuote, non ci si preoccupa troppo di un rubinetto che gocciola così come non ci si preoccupa troppo di spegnere la luce quando si esce da una stanza. La soluzione può consistere in una diversa struttura del sistema tariffario: tutti dovrebbero avere diritto a una «quota vitale» gratuita (una sorta di «salario sociale» applicato all’acqua). Oltre questo livello il costo delle quantità aggiuntive consumate dovrebbe essere rapidamente crescente. Anche qui, però, passata l’emergenza, un mondo politico schiacciato sul presente non ha alcun interesse a iniziare una riforma impopolare. Naturalmente non è possibile porre rimedio in tempi brevi alle manutenzioni non fatte e gli amministratori locali premono per attingere ai laghi e sperano in Giove Pluvio: quando arriveranno le piogge il problema non sarà più una priorità e nemmeno gli stanziamenti per la manutenzione degli acquedotti. È verosimile che aspetteremo senza far nulla la prossima crisi estiva.
La Stampa.